Ben ritrovate e ritrovati, compari e comma’.
Anche questo mese usciamo di sabato presto perché rega’, ho visto che vi piace.
Tengo lettori e lettrici mattinier3, chi l’avrebbe mai detto?
Vi faccio compagnia col caffè del mattino.
Per me caffelatte e Pan di Stelle (madonnaipandistelle.)
Riflessioni e link:
L’immobilità in mezzo alla città sfavillante
Come ricamare la folla
I libri del mese, dal Messico e uno che vale doppio: UK e Germania Est
La donna a mille dimensioni: da ascoltare e da leggere
Logistica: LinkedIn, materiali gratuiti per voi, Instagram, il link a Notes, il link all’archivio
Reminder filosofico per tempi difficili
Tempo di lettura: 15 minuti circa, ma
Saltare i pezzi o leggere in disordine o a puntate è cosa buona, giusta, e cervello-friendly
1. Immobile, su un tetto
Dal mio balcone a Phnom Penh vedevo: due grattacieli, beh, grattacieli per lì.
In realtà in una città come Bangkok quelli non sarebbero grattacieli, ma avere 30 piani, a Phnom Penh, ti rende già un po’ grattacielo.
La casa di una persona, un appartamento, l'unico illuminato dal mio lato della casa: vicino alla finestra un uomo, che prima stava mangiando, poi si è messo a leggere al tavolo. Una libreria, una luce nell'angolo — lo guardo, e penso al fatto che le case sono un tema, nella mia vita.
Le case degli altri mi affascinano da sempre.
Ero via da casa da circa quattro mesi, quando avevo scritto queste note.
Non posso credere di aver vissuto in questo modo per più di un anno ormai 13 anni fa, anzi più di un anno, un anno e mezzo, quasi.
Tra il 2012 e il 2013, avevo venduto, regalato o parcheggiato tutto quello che avevo nel mio appartamento di Vienna, e avevo viaggiato e alloggiato in camere d'albergo, in dormitori di ostello, cucine condivise o senza cucina direttamente, mangiando sempre fuori, quando avevo circa 30 anni. Per un anno e mezzo, spostandomi al massimo ogni sette giorni. Con il mio ex dal peso specifico dell’uranio, e l’allegria di Egon Schiele, per restare in tema geograficamente.
Dal tetto a Phnom Penh guardavo questa persona mangiare a casa sua, vivere, e notavo anche quanta poca voglia avessi di uscire a riesplorare la città — non aiutava che facessero 43C — però… Era un dato importante. Per me che sto sempre meglio all’aperto che tra quattro mura. E invece, volevo stare ferma. Dato che avevo la fortuna di poterlo fare senza mura intorno, su un tetto.
Spesso pensiamo di avere una vita sola, e abbiamo una vita sola ovviamente, però dentro quella vita… Il nostro modo di essere cambia; il nostro modo di stare al mondo cambia; il nostro modo di esistere cambia.
E siccome tu ti vedi tutti i giorni, siccome sei con te stessa tutti i giorni, ti rendi conto di quel cambiamento solo quando quel cambiamento si è già compiuto, e questa mi sembra una cosa che può confondere le idee sulla propria identità — che comunque è una cosa fluida nel tempo — ma che è anche bellissima.
L’altra cosa che mi ha portato a pensare, questa Phnom Penh vissuta con lentezza e tranquillità, è che finalmente, almeno un pochino, sono diventata molto brava a stare.
Io prima ero brava solo ad andare, ad andare via, a muovermi, a partire:
quello che in Spagna chiamano un culo inquieto.
Adesso, forse, dopo sedici anni fuori, una pandemia vissuta per i primi cinque mesi interamente da sola e malata, e la migrazione in cinque paesi diversi,
ho imparato a stare.
Per me non è assolutamente ovvio. Non lo è stato per anni.
Io, per i miei canoni, ora sono quella che rimane.
Quella che vede la gente andare via.
A giugno saranno sette anni che vivo a Barcellona.
Ho guardato un po’ di persone a cui tenevo partire, di recente, e questa è una posizione in cui non ero mai stata prima.
Ero sempre io quella che se ne andava.
E niente, su quel tetto a Phnom Penh, ho pensato molto allo stare, osservando da lontano questa persona che si faceva i fatti suoi a casa sua, e il giorno prima avevo anche avuto — non riesco a ricordarmi perché o per cosa — ma avevo avuto questo momento in cui avevo sentito felicità all'idea di tornare a casa… e questa per me è una conquista enorme.
Penso che fosse una cosa che non sentivo circa dal 2005.
E adesso, preparatevi, che mi contraddico completamente: pront3 ?
Tutte queste belle riflessioni nascono meglio quando ti sposti dal tuo ambiente quotidiano, perché si spegne il pilota automatico con cui ci muoviamo negli ambienti abituali.
Ne sono perfettamente cosciente.
Quindi se magari la vita da nomade digitale totale non fa per me, magari invece la vita da nomade diciamo part time, solo qualche mese all'anno, forse mi farebbe bene mantenerla. Ovviamente facendocela col lavoro.
Perché anche per me che sono apprendista dello stare, che faccio gne gne gne citando Orazio e dico che sono perplessa da una serie di implicazioni della vita da nomade digitale (che, appunto, non ritengo di essere, al massimo espatriata seriale, che si ciuccia uno a uno i problemi di dove emigra perché non è di passaggio per sei mesi e poi ciaone), è indubbio, che cambiare ambiente faccia bene al cervello.
L’anno scorso il periodo fuori l’ho fatto in Argentina. Dopo due mesi e qualcosa Buenos Aires dove sono stata bene per alcune cose, ma che è stata dura per altre, perché non ero in vacanza ma a tenere compagnia a chi raccoglieva cocci di cose difficili, ero stata contenta di tornare e Barcellona.
Se mai un giorno lascerò la città, credo che le sarò sempre grata per avermi dato questa sensazione di radice buona, di casa, del poter tornare a un posto che mi fa da balsamo.
Dell’avermi mostrato la bellezza dei ritorni, quando hai un posto dove stai bene, almeno psicologicamente.
Questa sensazione di casa ce l'ho con Barcellona, ma nei mesi in sudest asiatico mi sono accorta che ce l'ho anche con Bangkok, un pochino, come scrivevo due numeri fa, con mio sommo stupore.
Perché andare via e tornare in un posto, dopo anni che no, fa cambiare prospettiva su tutto. E ti fa accorgere di cose che non sapevi di sentire.
2. La donna ago. Da guardare
Non è una serie. E nemmeno un film.
Scrivere di tutto questo stare mi ha ricordato una video performance che ho visto quando ero una ragazzina.
Una cosa che ho visto quando avevo 19 anni, che non ho mai più dimenticato, ma che solo ora ho ritrovato nei dettagli, per raccontarla a voi.
Nell’estate del 2001 avevo fatto il mio primo viaggio da sola in un altro continente, prima di iniziare l’università. Ero andata a New York.
Appena in tempo, prima che tutto basculasse, prima che le Torri crollassero, prima che gli US mentissero all’ONU, prima della guerra al terrorismo, dell’Asse del Male, di tutto quello che è successo in Iraq e Afghanistan.
New York (City), all'epoca, era ancora un posto che non costava un rene e mezzo. Io stavo in un hotel bruttissimo ma economico sulla 47esima, la stessa strada della Factory, ma dal lato ovest. Vicino all'hotel c'erano i negozi di quelli che vendevano i diamanti e le botteghe degli ebrei di New York, dove mangiai il pastrami per la prima volta. E anche per l’ultima, hehe. (Dovrei controllare se ancora non mi piace.)
Io avevo tenuto da parte paghette e regali di Natale e di compleanno per due anni perché dopo la maturità volevo andare a New York da sola, e poi magari anche a Philadelphia. E così avevo fatto, atterrando a Newark, New Jersey, su un aereo della Continental Airlines, che ora non esiste più.
E lì era iniziata una scorpacciata di arte e cultura che non finiva mai, cioè esattamente quello che faccio anche ora venti e passa anni dopo, quando viaggio: camminare tantissimo, fare festa pochissimo, cercare cibo, arti visuali da apprezzare con la pancia, librerie, parchi, spazi di quiete. A New York non ci torno da quella volta lì, probabilmente ha cambiato faccia sei o sette volte. Mi piacerebbe tornarci, un giorno.
Ma torniamo ai consigli.
Al MoMa, mi pare, ero incappata nel video di una performance artist coreana chiamata Kimsooja, che in quegli anni girava il mondo con la sua semplicissima, e insieme potente, performance, intitolata Needle Woman, la Donna Ago. Lei, vestita di colori neutri e con abiti semplici, imobile in mezzo alla folla, in giro per il mondo: a Tokyo, a Sana’a, a Città del Messico, al Cairo. Coreana.
Io, probabilmente, è stato quel giorno lì che mi sono detta, hai capito sta Corea chi produce? Non è che mi devo documentare? Ma soprattutto, dov'è esattamente, di nuovo, sta Corea?
Nel museo, mi ricordo che ero rimasta a guardare questo video in loop per molto tempo. Mi aveva affascinato tantissimo l’idea, nella sua semplicità del piantare l’immobilità nel mezzo di una folla in movimento come quella di Shibuya, che anni dopo io stessa avrei guardato dall’alto, immobile, seduta per terra in silenzio con un tizio di Valencia conosciuto in una izakaya, nel corridoio di un centro commerciale, pensando, sembra un acquario di persone.
Non sono affatto stupita che questa idea di usare il proprio corpo come un ago che ricama forme nella folla, fendendola con la propria immobilità, le sia venuta proprio a Tokyo. Sul suo sito, a questo link, trovate l’archivio di tutte le performance, in giro per il mondo.
Vedere come si comportano i passanti che camminano intorno a Kimsooja, a seconda di dove si è, è davvero affascinante.
Vi lascio anche un video dove racconta un po’ la genesi della performance, all’incirca dal minuto 8. Lo trovate qui.
3. I libri del mese
Uno recente, e un saggio di archivio
Dall’immobilità e dagli aghi, al ricamo, è un attimo.
E quindi, naturalmente, vi devo consigliare Punto Croce (Punto de Cruz) di Jazmina Barrera, dal Messico. Una storia di amicizia che segue un gruppo di quattro amiche nel corso delle loro vite, dei loro viaggi, che segue quattro modi di diventare donne, in giro per il mondo, da una prospettiva diversa da quella europea — a me, personalmente, vedere com’è l’Europa immaginata e visitata da gente che ha sguardi cresciuti altrove affascina sempre molto.
Ho anche trovato un estratto per voi, da leggere gratuitamente sul sito de La Nuova Frontiera, così vedete se vi parla. Se parlate spagnolo, pare che sia pure presente nella sua interezza su Spotify (il mio cervello anziano fa fatica a computare questa informazione, soprattutto si sta chiedendo se, come e quanto l’autrice venga pagata da Spotify. Sospetto pochissimo o niente, ma spero di sbagliarmi. L'ho trovato mentre cercavo interviste con lei da farvi ascoltare, ma ne ho trovate solo su un suo altro libro, Linea Nigra, che non ho ancora letto, quindi non so se consigliarvelo.)
![](https://substackcdn.com/image/fetch/w_1456,c_limit,f_auto,q_auto:good,fl_progressive:steep/https%3A%2F%2Fsubstack-post-media.s3.amazonaws.com%2Fpublic%2Fimages%2F17d499fb-5f78-4424-8ee4-253be5e4f3b4_1440x1440.jpeg)
L’altro consiglio del mese, invece, non c’entra niente con il ricamo, e nemmeno col mondo latino. Ci spostiamo, infatti, a Berlino Est, e alla Guerra Fredda.
Il libro di archivio di questo mese, infatti, è Il Dossier (The File) di Timothy Garton Ash, storico inglese e giornalista, pubblicato nel 1998. Qui trovate il link al sito di Garton Ash, alla pagina dei suoi libri tradotti, per essere precisi. Il sesto libro della lista è quello di cui vi sto parlando.
Dopo la caduta del Muro, gli archivi della Stasi furono aperti, e fu così che Garton Ash, a fine anni ‘90, decise di andare a chiedere il proprio dossier, relativo alla fine degli anni ‘70, quando era un giovane giornalista e politologo che viveva a Berlino. Da un lato, quindi, seguiamo Garton Ash che ripercorre la sua storia personale e scopre cose che magari non avrebbe voluto sapere. Dall’altro, è una riflessione affascinante su quanto possa essere fumoso il concetto di verità (e già lo era prima della nostra epoca di post-verità.)
Se vi interessa la storia della Germania Est e siete affascinati da Berlino a quell’epoca come lo sono io, molti numeri fa avevo consigliato un libro magnifico, chiamato Tunnel 29, di Helena Merriman. Ne parlavo qui. Consigliatissimo (ed era piaciuto molto alla cricca catramina.)
Il momento del pippone
Due volte al mese, il mio obiettivo è aiutarvi ad aumentare la diversità culturale presente nelle vostre vite.
In primis perché mi piace.
In secondo luogo, perché è un modo diverso di fare politica.
Se il diverso lo ascolti, lo conosci, lo leggi, tenti di capirlo, da una posizione di apertura e curiosità, apprendendo dai e dei modi altrui di stare al mondo, è più difficile essere chiusi e bigotti. E non per forza questa apertura la si deve cercare attraverso il viaggio, che non è alla portata di tutti.
La cultura può permettere di aprirsi anche a chi non può o non vuole muoversi.
Catrame e Libertà è uno spazio sostenuto da voi, oltre che da me: libri, film, podcast, viaggi interiori ed esteriori, più una selezione di articoli stimolanti.
Se volete sostenere il mio lavoro, e aiutarmi a pagare gli abbonamenti che pago per leggere tutto quello che leggo, e selezionarlo per voi, potete farlo con una donazione libera una tantum su PayPal, cliccando sul bottone qui sotto.
Grazie Benedetta T. e Caterina M. per le vostre donazioni, e per le parole bellissime con cui le avete accompagnate. (Prevedo di aiutarvi ad accendere ancora molte lampadine mentali, probabilmente grazie alla cultura a cui accederò anche grazie al vostro sostegno!)
4. Elif Şafak: da ascoltare, e da leggere
Questo podcast non l’ho messo in un Inserto Infodemico, perso nel mucchio, perché si merita uno spazio tutto per sé.
Elif racconta a Vick Hope i cinque libri che l’hanno maggiormente influenzata, raccontando anche la ragione dietro ogni scelta.
E tra un libro e l’altro, ci racconta di com’è stato crescere tra due mondi — la Turchia progressista e laica rappresentata da sua madre, e quella del pensiero magico che però non escludeva l’indipendenza, di sua nonna; Strasburgo, Madrid, Londra; la solidarietà tra generazioni di donne sole in un paese e una città patriarcali, e mille altre cose.
Elif Şafak è una di quelle scrittrici che sento vicine e che leggo con piacere da anni. In questo podcast, potrete forse capire perché. A cominciare dal suo rifiutare di definirsi con una sola parola, citando Whitman: tutte e tutti noi conteniamo moltitudini. E per spiegare cosa intende con questo, ci butta lì un’altra connessione sensatissima, con Audre Lorde (che non ha una pagina in italiano su Wikipedia, cribbio.) Insomma, ascoltatela, che ci sono consigli validi di lettura, e non solo.
La mia cara
ha anche un Substack bellissimo, di cui non perdo nemmeno un numero. Se cliccate sul suo nome, troverete anche il suo Substack, per abbonarvi.Sì, è in inglese, ma se siete qui siete anche persone curiose: e vi assicuro che non c’è nulla di più utile che ascoltare e leggere persone che hanno cose da dire che ci toccano, per imparare bene una lingua.
Se vi interessano la lettura, la vita sospesa tra culture, le identità multiple, la scrittura, il femminismo, questo Substack (e questo episodio di podcast) è roba per voi.
5. Logistica: LinkedIn, materiali gratuiti per voi, Instagram, il link a Notes, il link all’archivio
Due volte al mese insieme con Catrame non ti bastano? Vieni su LinkedIn… In che modo lavorare con me è diverso da lavorare con un’insegnante random? Sono coach certificata ICF di Neurolanguage Coaching®. Quando non sono in fase rivolta luddista (essa, purtroppo, permane, ma mi sto sbloccando) ne scrivo appunto spesso su LinkedIn. Qui, qui, e qui, potrete leggere meglio di che si tratta e di come funziona. I messaggi privati su LI del tenore Paola, are you okay? continuano, e la cosa mi fa pensare che se manco alla gente, hai visto mai che non scrivo solo minchiate? Son cose.
Comunque insomma, se da tempo immemore vuoi parlare l’inglese, ma hai mille blocchi e non sai come fare e alla fine rimani sempre al palo… Sul mio profilo troverai un sacco di roba in archivio che ti sarà di aiuto, ed anche: vai qui.
Il primo materiale, a fondo pagina, vi aiuta a iniziare a sviluppare il vostro inglese parlato in autonomia; l’altro invece a fare un po’ di self-coaching e vedere se è davvero la lingua inglese a bloccarvi, o se è qualcos’altro, sempre nello spirito che conoscere se stessi è cosa buona e giusta, nella vita. E comunque raga: un sacco di volte, posso dirlo ormai, non è solo responsabilità vostra. (Come capita spesso, nella vita, è più complesso di una assegnazione di colpe.)
Su Instagram sono @migrabonda. Lo uso poco, principalmente per cazzeggio, e per leggere il prossimo. Però oh, se volete, volentieri ci vediamo lì, eh!
Se leggete usando la app di Substack, possiamo seguirci anche sulla sezione Notes, dove a volte metto gli alert dei libri in sconto su Kindle Store se vedo cose belle, o dei consigli estemporanei di libri letti in passato, che ritrovo in vecchi post di IG o Facebook.
È la prima mail che ricevi? Qui trovi l’archivio di tutte le altre :)
6. Una citazione per voi, quanto per me
“L'importante non è ciò che hanno fatto di noi, ma ciò che facciamo noi stessi di ciò che hanno fatto di noi.”
- Jean Paul Sartre, in un momento di inconsapevole comunione spirituale con Viktor Frankl.
Quindi, la ciccia è come reagisci ai periodi in cui tu vuoi luce, sole e allegria, e invece c’è un sacco di buio. Siamo legione, sto periodo, a essere un po’ appannate.
La cosa bella di dirlo pubblicamente, o comunque qui dove sono nel mio giardino che condivido con voi, è che poi la gente ti risponde, e viene fuori che tu non lo sai, ma che le persone ti leggono e ti dicono, oh, mi sento meno sola, mi stai tenendo la manina. E non credo ci sia nulla di più bello nella vita che sentirsi dire che oggi le tue parole (e i tuoi consigli) hanno fatto bene a qualcuno.
Quindi, se anche voi siete appannate o appannati perché qualcuna o qualcuno vicino a voi sta soffrendo tanto per la salute, o perché è un periodo demmerda col lavoro, o perché sentite che tutte le basi tremano, ricordatevi sempre queste cose che io ripeto a me stessa tipo mantra in questi mesi da emigrata con l’ansietta di dover correre a prendere l’aereo:
non siete sole e soli. Siamo almeno in due (ma pure in quattro o cinque, e parlarsi, ecco, fa benissimo. Anche se l’istinto primario è chiudersi nella caverna con libri e piante.)
tutto passa. Nel bene e nel male.
muovete il corpo, pure se siete stanche, pure se siete pigri, possibilmente all’aperto.
Non costa niente, eppure, fa miracoli, anche solo una passeggiata.
Vi mando un abbraccio grande.
A tra due settimane, e grazie di esserci. 🌸
Pao
"Usare il proprio corpo come un ago" è una bellissima espressione, e grazie per avere raccontato la storia di Kimsooja, che non conoscevo.
Di Jazmina Barrera mi era piaciuto molto "Quaderno dei fari", grazie per avermi ricordato anche "Punto croce", che mi era passato sotto il radar ma che avevo dimenticato.
Mi sento molto appannata da taaanto tempo, ma non lo dico mai in giro perché non voglio essere quella che si lamenta, e poi penso sempre che ognuno ha i suoi problemi e raccontarli qui sui "social" a persone sconosciute non abbia molto senso. Forse però, come dici tu, sentire una manina virtuale che ti stringe fa bene all'anima nella vita reale. Un abrazo, recupererò senz'altro il libro di Jazmina Barrera (che bel nome Jazmina tra l'altro, el jazmín è il mio fiore preferito!).