Catrame Extra | Inserto Infodemico 10
Musiche epiche; avocado; la Corea fuori da Seoul; prime notti di nozze; artisti cambogiani; maternità in Spagna; horror a Suburbia, USA
Una di quelle volte che hai cannato, e ne sei contenta
I link infodemici del mese
Fuori da qui: dove altro trovarmi, Neurolanguage Coaching, mondo reale, Instagràm, Notes, link all'archivio
Catrame Amarcord: di quando stavo tornando in Asia dopo anni di assenza
Tempo di lettura: 13 minuti, meno se passate direttamente ai link.
La foto di copertina è della elfa dei boschi Simona Camporesi.
Ciao compas,
Ben ritrovate e ritrovati 🌼
Come state?
L’Inserto Infodemico è tornato.
Non parlo della mia zampa oggi. Vi dirò solo che ho annullato la mia stessa estate. Io pratico la gratitudine sempre, però 2024, dai, dammi più elementi.
Non elaboro perché rischierei la lamentazione e io detesto la lamentazione. Inoltre ho un benchmark bassissimo che mi dice, sono solo stampelle e immobilità, se non sta morendo nessuno non capisco di che ti lamenti. Capito, il benchmark.
Però grazie a chi mi ha condiviso storie di cadute stupide come la mia per farmi sentire meno scema 💙
Poca politica (solo nella intro) e molta più società, stavolta.
Ho raccolto link e riflessioni nel corso delle settimane prima col baffetto sudato e il cervello surriscaldato e il sudore, poi con la zampa fasciata, rifugiata in cucina, che il pomeriggio è bella fresca e dà sulla collina, e quindi, sul cicaleccio. Che sta tristemente svanendo. Quanto amo io le cicale che gridano, non ve lo so dire. Forse perché vorrei gridare anche io con loro?
1. Diamo a Césaire quel che è stato di Césaire
[E non parlo delle Olimpiadi, che senza televisione devi guardare le gare in modo intenzionale cercandole online, quindi io ho visto proprio poca roba sul sito di Eurosport. In compenso mi ha fatto report il povero ospite presente quando mi sono distorta la caviglia. Io però di sport non capisco una sega, e non parlo delle cose che non capisco.
Nel momento in cui sto scrivendo, dopo la sbornia olimpica in cui de botto i parigini sono diventati accoglienti, dato che in città non c'era nessuno a rompergli i maroni, non è ancora stata formata una coalizione e sono tipo al secondo giro di consultazioni.]
Negli ultimi numeri infodemici avevo parlato un sacco di elezioni e del votare e dell’astensionismo, e poi un tot di numeri fa avevo anche detto minchia raga, come la vedo grigia dai franzosi. E invece, erano stati i franzosi, a stupire me.
La società francese, che alle europee dormiva, si era mobilitata, ed era andata a votare per il 66,63% degli aventi diritto.
A me, vedere la partecipazione alta, mi dà sempre una certa gioia, ovunque accada.
Dove non poté l’etica, poté la caga,
come dico sempre, con la finezza di analisi politica che è tipica di me al bar, con un caffè in mano.
Comunque, dopo gli indiani che hanno tolto il cappello di Capo De Capis a Narendra Modi, anche i vicini di casa lì a mostrarci come a volte votare serve a qualcosa.
Volevo dirlo adesso, molto tempo dopo, otto o nove cicli di notizie e un'estate dopo, quando a quella storia non ci state già più pensando da un pezzo: a volte sbagliarsi è bello.
Poi: questi risultati vogliono dire che la destra estrema in Francia è sconfitta? Non proprio. I loro numeri sono cresciuti.
A inizio estate, mentre Bardella faceva gne gne gne dal podio, Marine, da brava burattinaia, tra Richelieu e Andreotti, stava lì come il proverbiale vecchio cinese che aspetta il cadavere del suo nemico a bordo fiume, conscia che è solo questione di tempo, e lei è una donna paziente.
Ci ha raccontato meglio il buon Eugenio Cau su Globo, con Chiara Piotto, qui, se ve lo foste perso.
Ma passiamo ai link del mese.
2. La Rassegna Stampa Random del mese
Un estratto dal libro “I Sultani. Mentalità e comportamento del maschio italiano” di Gabriella Parca, ripubblicato da Nottetempo. Si parla, nell’estratto, delle prime notti di nozze delle generazioni praticamente delle nostre nonne. Sembra, un po’, di leggere di stupri, onestamente, con la sensibilità odierna, e onestamente, mi fa anche avere più di una certa comprensione per nonna romana, quella di cui parlavo nell’ultimo numero mentre parlavo di nonna nordica, che non ha voluto sposarsi se non fino a tardi, quando l’aveva fatto lo aveva fatto con uno che aveva vissuto pure lui in giro perché “era bello come un attore americano, ed era pure gentile e rispettoso” — perché gentile e rispettoso non erano le basi. E poi, quando era rimasta vedova, era pure scappata a Caracas, per poi non risposarsi giammai. Sono piuttosto certa che sarei finita pure io piuttosto similmente, in quegli anni. Onestamente, se mi lasciassi con Martín a volte penso che finirei così anche oggi. Diventare fattucchiera e vedere il mondo era, infatti, il mio piano principale dopo aver lasciato una relazione irrancidita all’età di anni 32, fortunatamente senza infanti, che sarebbero altrimenti, porelli, finiti sballottati come un pacco DHL tra Europa e Thailandia, dove il mio ex è rimasto e credo rimarrà a vita a fare il Maschio Expat Bianco, Egemonico e Di Sesterzi Pleno.
Siccome sono totalmente preda irrazionale dell’ideologia giénder, vi lascio anche questo pezzo pop in italiano sull’urbanistica di genere, che esiste, ed è piuttosto utile e necessaria, perché fa domande che normalmente non ci si pone, sulle città. La maggior parte della popolazione umana ormai vive in città, quindi, vale la pena, a mio avviso, di riflettere molto di più sulle città, sulla loro forma, e su come essa interagisce con diversi corpi: maschio, femmina, bambin3, anzian3, persone con qualche tipo di disabilità, di qualunque genere. E’ molto meno ovvio di quanto sembra. Anzi, vi lascio pure un articolo (anche lui in italiano!) su Barcellona città femminista, non nel senso che è piena di femministe — anche se la è — ma nel senso della pianificazione urbana.
Uno degli stereotipi più diffusi, e comunque fondati, sull’Asia, è che in genere si lavora un botto. Ovviamente, dipende da dove si va: in Cina, in Vietnam e in Giappone la gente è molto più lavoratrice, efficiente e stressata che in Thailandia o Cambogia, ad esempio. Però, la cosa interessante della globalizzazione è che essa trasporta anche le idee e permette di confrontare gli stili di vita propri con quelli delle persone di altre zone del mondo, e di farsi domande. Il risultato è che la percezione del ruolo del lavoro, esattamente come da noi, in Asia, sta cambiando. Vi lascio questo episodio di Altri Orienti del buon Simone Pieranni, che ce ne racconta, in italiano.
Vi piacciono gli avocado? A me, assai. Però, come sapete, sono un frutto controverso per il suo impatto ambientale, e per l’appetito globale che generano. E’ talmente controverso che niente, in Messico ci sono le milizie anti-avocado. Vi lascio un lungo pezzo del Guardian sul tema, in inglese. Vi spiegano meglio loro di me, che sono bravi. Io vado a cospargermi il capo di cenere, ma nemmeno tanto, perché con l’inflazione, onestamente, di avocado ne compro molti meno di prima.
Quasi sicuramente saprete che Roma è candidata all’Expo 2030. Una delle sue concorrenti è Busan, in Corea, che è uno dei posti dove sarei voluta andare a volontarieggiare se avessi fatto quella roba folle che avevo in mente qualche anno fa, cioè stare 6 mesi tra Corea e Giappone vivendo negli ostelli e lavorando da volontaria, come avevo fatto in Sudamerica da giovinetta. Però poi niente, la zona di confort, Barcellona, la pestilenza e la pandemia, il bisogno di radice. Però, mai dire mai. Ad ogni modo, questo pezzo di Internazionale su Busan candidata all’Expo mi ha fatto venire una malinconia pazzesca di me che giravo per l’Asia da sola, tra esplorazione, spaesamento e speleologia interiore. Seoul mi era piaciuta molto, ma non so se ci vivrei. A Busan, per un po', ci starei eccome (ed ero andata a trovare un’amica che ci stava benone, infatti.) Il pezzo è dietro paywall, purtroppo, per abbonati a Internazionale.
La rassegna infodemica continua dopo il momento manifesto:
Il mio obiettivo è aiutarvi ad aumentare la diversità culturale presente nelle vostre vite. È un modo diverso (e adorabile) di fare politica.
Se il diverso lo ascolti, lo conosci, lo leggi, tenti di capirlo, da una posizione di apertura e curiosità, apprendendo dai e dei modi altrui di stare al mondo, è più difficile essere chiusi e bigotti.
Il viaggio non è alla portata di tutti.
La cultura può permettere di aprirsi anche a chi non può o non vuole muoversi.
Gli abbonamenti sono un impegno, e io voglio che per ora ci sia libertà da entrambe le parti. Però, se potete, ovviamente aiuta, perché il capitalismo.
Se volete sostenere Catrame, potete farlo con una donazione libera una tantum su PayPal, cliccando qui sotto.
Tornando al Messico, un libro di cui vi ho già parlato, ma che non ho ancora letto io stessa, e un’intervista all’autrice Brenda Navarro: culto dei morti in Messico, femminicidio e stato, l’essere fratelli, la perdita, il suicidio, insomma, le solite cose allegre di cui leggo, solo che invece che stare lì a dire me povera, me tapina, la Brenda ci propone invece un’altra prospettiva sul tutto. Prendere quel dolore, e farlo diventare benzina per la rivoluzione. Che insomma, a me sembra un’ottima idea, sono una ragazza costruttiva.
A Marsiglia avevo visto Rendez-vous avec Pol Pot, di Rithy Panh. Come sapete, la Cambogia è una delle mie personali ossessioni, o se non lo sapete, ecco, sappiatelo ora. Ad ogni modo, tornando a casa a giugno, avevo visto questo film che mi è sembrato incredibile, onestamente. Mostrava benissimo come Rithy Panh sia un artista a tutto tondo: nella fotografia, nel giocare tra scene di girato suo e scene trovate agli archivi nazionali di Phnom Penh, nella scelta narrativa più che inusuale, eppure molto delicata, di lasciare che a narrare alcune delle cose più cruente non siano gli attori, ma dei pupazzetti scolpiti in legno da artigiani khmer. A me era piaciuto moltissimo, perché parla non solo dell’accaduto, ma anche di come con l’accaduto si erano relazionati i giornalisti occidentali, ed i progressisti dell’epoca in generale, in Europa soprattutto. Vi lascio una recensione di Slate.fr, qualora magari lo vogliate cercare online.
Ultimamente in Italia si è parlato molto di crisi demografica, complice il nostro governo attuale che parla un sacco di maternità come importante, necessaria, patriottica… E poi taglia i fondi agli asili nido. Vabbè. Comunque, qui una prospettiva dalla Spagna sul perché molte donne che lo vorrebbero non fanno figli: non c’entrano solo i soldi. C’entrano anche gli uomini, che in grandissimi numeri, di fare quella cosa di genitoriare e dare cura non ne vogliono sapere manco per sbaglio: il risultato è che in Spagna un numero record di donne congela gli ovuli, e poi, se può, fa da sola. Ci sono anche un paio di grafici con dati e numeri, in particolare mi ha colpito quello che parla delle ragioni per le quali le donne non hanno figli, diviso per età. Davvero molto interessante. Secondo me, se siete curios3, i grafici potete leggerli tranquillamente pure se non parlate bene lo spagnolo.
La staccionata bianca delle casette di legno americane come simbolo dell’orrore nei film e nei libri (in inglese.) Questo pezzo, ricco di idee di lettura se volete provare il terrore di quella suburbia che sembra pallosa e invece è piena di buio, mi ha ricordato quando avevo una cotta per un tizio incontrato a Londra che era di Cleveland, Ohio. E siccome a 19 anni è un attimo che fai follie, io a una certa ho preso quasi tutti i soldi che avevo, e sono andata a Cleveland a vedere da dove cazzo veniva. E niente, veniva da una famiglia italo-russa dei sobborghi di uno stato che i turisti saltano a pie’ pari, e da un quartiere pieno di ste cazzo di casette tutte uguali, con le staccionate, dove io dopo tre giorni gli avevo detto, Tesoro caro, se non mi lasci pascolare a piedi almeno mezz’ora io MUOIO, e lui mi aveva detto, ma non c’è un cazzo qui, e io gli avevo detto, fai conto che avere un’europea o un europeo intorno è come avere un cane. Li devi far camminare, non importa dove, se no SMATTANO e poi vi uccidoo tutti, che qua è un attimo, eh. Mi ha fatto camminare, per la fortuna di tutti. Poi comunque sono andata a New York e a farmi un giro nell’est, perché ok l'amore giovane, ma nemmeno vedere solo Cleveland, dopo tutti quei soldi di volo. (Giovane, ma saggia.)
In tutto questo, io resto una bambina anni 80 fatta e finita, che prima di diventare una piccola terzomondista (cit.) è cresciuta a pane e Goonies, Back to the Future (tutti, ma soprattutto il primo), Indiana Jones e Gremlins. E niente, immaginatevi la mia felicità quando la filmoteca di Catalunya, nelle sue proiezioni di classici dell’estate, oltre che Hitchcock (che io mi sparo in endovena da che avevo sei anni) ha proiettato su grande schermo Back to the Future, il primo, quello leggendario. Tipo che se l’avessero proiettato due volte, l’avrei visto due volte. Con Martín, bambino Gen X, un giorno, chiacchierando, ci siamo resi conto che non ci sono più le colonne sonore di un tempo, cioè, quelle proprio EPICHE. E non è essere vecchidemmerda lamentosi: è che non si vogliono spendere più soldi per le orchestre, ed è un vero peccato. Perché? Perché cose come la colonna sonora di Back to The Future sono una roba pazzesca, io la sento e sprizzo già endorfine sorridendo, sono già lì che sto inventando la DeLorean con Doc per andare a portare scompiglio nel passato, sto già rubando il plutonio. Provare per credere. Sentitela in cuffia a massimo volume, e ditemi se pure voi non siete pres3 benissimo, che poi era come stava tanta gente nel 1985, me sa. E niente. A noi invece è toccato adulteggiare in un periodo in cui comincia a sembrare allegro pure Kurt Cobain, o in cui cantare dell’inflazione con Rino Gaetano. E vabbè. Comunque raga, sto film non è invecchiato bene: di più. Sono andata con Martín e un’amica a vederlo e tutt3 d’accordo, cioè, è veramente un film della madonna. (Ri)guardatelo!)
3. Logistica: LinkedIn, materiali gratuiti per voi, Instagram, il link a Notes, il link all’archivio
Ci vediamo su LinkedIn? Sono coach certificata ICF di Neurolanguage Coaching®. Quando sono in fase creativa, cioè il più del tempo con pause di un paio di mesi nel mezzo, ne scrivo appunto spesso su LinkedIn. Qui, qui, e qui, potrete leggere meglio di multilinguismo, apprendimento linguistico, e in genere di come farsi valere parlando una lingua che non è la propria.
Sul mio profilo troverai un sacco di roba in archivio che ti sarà di aiuto, ed anche: vai qui e scegli la tua risorsa gratuita. Se da tempo immemore vuoi parlare l’inglese, ma hai mille blocchi e non sai come fare, fare è più utile che studiare.
Un sacco di volte, posso dirlo ormai, soprattutto sul lavoro, sta storia dell’inglese parlato che è difficile non è solo responsabilità vostra. Come capita spesso, nella vita, è più complesso di così.
Su Instagram sono @migrabonda. Lo uso poco, ultimamente di più perché sono di più davanti agli schermi. Ahimè. Se volete, volentieri ci vediamo lì, eh!
Se leggete sulla app di Substack, possiamo seguirci anche sulla sezione Notes, dove a volte scrivo pensieri estemporanei, e riposto cose che mi ispirano, o mi hanno parlato.
È la prima mail che ricevi? Qui trovi l’archivio di tutte le altre :)
4. Catrame Amarcord
Un numero vecchio da andare a spulciare.
E anche per questo Inserto Infodemico, mie care, miei cari, abbiamo finito.
Mi raccomando, non uscite nelle ore più calde, copritevi la testa, bevete molto, etc.
Anche se in realtà qui ha iniziato già a sbollentare da Ferragosto circa. La notte saranno due settimane che non si suda e si dorme da dio.
Per fortuna mia e della mia zampa fasciata.
A presto, e grazie di esserci 🧿
Pao
Il mio ritorno al futuro preferito è il due, cioè il primo che ho visto al cinema. E l'idea che ci fossero i fax nei gabinetti mi ha sempre fatto volare.
Io ho un pezzo di quaderno dedicato alle cose che trovo qui, te lo dico.
E stasera mi riguardo Ritorno al Futuro perché saranno almeno 4 anni che non lo rivedo e direi che è ora.