Catrame Extra | Inserto Infodemico 07
Phnom Penh, sole e oscurità; fotografe persiane; Birmania; scrittrici ceche; metro, lavoro e Lexotan
Phnom Penh, ti vedo meglio, ti dirò, a modo tuo
I link infodemici del mese. Molti podcast perché ho viaggiato un botto, e se leggo vomito! (Letteralmente)
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Di nuovo Gospodinov, microracconto, brevissimo e dritto al cuore
Tempo di lettura: circa 16 minuti.
Phnom Penh: sono qua da due giorni e mi sta dando da pensare più di tutto il resto del paese, in tipo tre settimane.
Un po' è che sono qua in stagione calda, e ci sono 38C, sensazione termica 43C, praticamente ogni giorno, e quindi poi finisci stesa a pensare ogni giorno, ferma come un rettile a ripigliarti.
Un po' è che dopo la cosa di nonna sto lavorando il minimo indispensabile, al grido di, ma quando ci torno, poi, qui?
Un po' è che se vieni qua ti avvicini inevitabilmente al cuore oscuro del paese.
È questa, la città che gli khmer rouge hanno completamente svuotato in 48h, un aprile bollente di 49 anni fa.
È questa, la città che aveva la più alta densità di Nuove Persone: quelli come me, e come voi.
Che parlavano le lingue. Che sapevano leggere. Che avevano le mani morbide. Che erano diplomatici, professori, artigiani, stranieri, monaci, meccanici, pittori, musicisti, medici. Che meritavano di perdere tutto, ed essere mandati nei campi agricoli di tutto il Paese, dove non sapevano fare un cazzo ovviamente, e dove sarebbero morti di fame, stenti, caldo. E se non morivano lì, morivano dopo, arrestati, torturati e uccisi da Angka, l'Organizzazione, che poi venne fuori che era semplicemente il Partito Comunista Cambogiano, in mano a Pol Pot e Duch, che era, per capirci, l’Heinrich Himmler di queste parti.
Angka era diversa dagli altri partiti comunisti asiatici per il suo estremismo, come si è visto, ma anche perché all'inizio nessuno sapeva nulla di chi fosse ai vertici. Niente culto della personalità come si fece con Mao, niente educazione/indottrinamento come in Cina, Vietnam o URSS. Solo lavoro nelle risaie, morte e violenza. Io se ci penso ancora faccio fatica a crederci.
E infatti, ai rifugiati cambogiani all'epoca non credeva quasi nessuno. Credevano loro solo alcuni giornalisti, e molti di loro ci misero comunque del tempo a convincersi che quei racconti allucinanti fossero possibili e veritieri. Ma lo erano. Perché coincidevano tutti.
Io alla Cambogia voglio inspiegabilmente bene da che ci sono stata la prima volta, più di 15 anni fa. Phnom Penh è stata per molto tempo la capitale più fuori controllo della regione, piena di droga e monnezza, a pile, come non l'avevo vista da nessun'altra parte in zona, all'epoca.
Nel frattempo, nel paese sono arrivati i soldi cinesi. La skyline è cambiata. Ci sono palazzi alti, cantieri ovunque: dal mio balcone be vedo sette. Io sto in una delle zone di expat e ONG, sempre per quella cosa che non mi trovo più coi backpackerini ventenni, che poi a Phnom Penh nella zona turistica più che i backpacker trovi nugoli di vecchi rubizzi in canotta, sempre soli, sempre a bere e cercare femmine, proprio… Faccio volentieri a meno.
Per certi versi, somiglia molto più a Bangkok dell'ultima volta che l'ho vista, questa città. Più disordinata, forse. Ma nemmeno di tanto.
Comunque, insomma. Anche 15 anni fa ero stata al memoriale di Tuol Sleng. È cambiato anche quello — all'epoca era tenuto, diciamo, in modo discutibile, per me non rispettoso delle tra 18 e 20,000 persone morte lì dentro. L'avevo visto un giorno di pioggia, ne ero uscita più di tutto furiosa per quel che avevo visto, per come lo tenevano, e mi ero messa a piangere di rabbia come un’imbecille nel tuktuk. L'autista, imbarazzatissimo, aveva fatto finta di niente, poi mi aveva regalato una bottiglia d'acqua, e mi aveva fatto pat pat sul braccio.
Tuol Sleng, ora, l'hanno ripulito. Non ci sono più i neon penzoloni e i secchi a raccogliere la pioggia che macchiava i pannelli con le foto delle vittime. C'è un'audioguida, addirittura, fatta bene, che dà contesto e spiega tutto. Insomma, oggi abbiamo fatto questo, e siamo andati al campo di sterminio.
Dice: siete personcine leggere, eh?
In realtà lo siamo.
È che, però, la memoria, la storia, sono troppo importanti.
Pure se curarle è una sberla.
Una cosa come quella successa qui, il 25% della popolazione sterminato nel nome di non si sa bene cosa — davvero, rispetto a 15 anni fa e leggendo di più del personaggio e delle sue idee, stavolta il mio commento principale su Pol Pot è che più che il male in terra è stato una mezza capra ignorante, chiaramente sociopatico, non in grado di capire la teoria marxista, non di laurearsi, bravissimo solo a recepire gli insegnamenti di Stalin, di tutte le persone possibili— dicevo, una storia come quella cambogiana è memoria di tutti. Come quella argentina, cilena, rwandese, bosniaca, come quella dei Rohingya, come quella di Gaza.
È di tutti.
Anche vostra. Per quello ve la racconto.
Se non vi interessa, saltate pure alla lista di articoli dell’Inserto.
Se fossi nata nell'epoca dei miei genitori, per come sono, per gli studi e i viaggi che ho fatto, avrei potuto finirci anche io lì dentro, a Tuol Sleng: ci sono finiti dei ragazzi neozelandesi che stavano esplorando il mondo in barca a vela e sono finiti nelle acque territoriali sbagliate, nel momento sbagliato. Ci sono finiti stranieri che erano qui a fare i professori, i cooperanti. Esattamente come ho fatto io in passato. Angka non guardava in faccia a nessuno: uccisero anche giapponesi, indiani, francesi, australiani, americani che vivevano e lavoravano qui. La cui colpa principale, uguale a quella degli khmer sbagliati, era essere andati a scuola. Io sono a conoscenza di sta storia da quasi trent’anni, e ancora non la digerisco.
La cosa incredibile di questo regime era quanto era random. Uccidevano tutte, e tutti. Anche i bambini piccoli. Li arrestavano anche: bambini di 4, 5, 6 anni: cosa potranno mai aver fatto, di anti rivoluzionario?
Anche i torturatori, al minimo sbaglio o errore, passavano ad essere prigionieri, e poi venivano assassinati. Dalla prigione S21 di Phnom Penh sono usciti vivi solo in 14. Ora, alcuni di loro passano le giornate fuori dai centri di memoria, vendono i loro libri e rispondono alle domande, con una traduttrice.
Io ho conosciuto un signore, oggi, che si è salvato perché era meccanico, e sapeva riparare le macchine da scrivere di quelli là. Si è salvato per quello. Era molto anziano. Mi ha fatto segno di mettermi seduta accanto a lui per fare una foto coi suoi libri. Io l'ho fatto, esitando, e onestamente, mi veniva da piangere, da abbracciarlo. Non ho fatto nessuna delle due cose, perché non si fa qui, né abbracciare la gente a caso, né mostrare troppo le emozioni. L'ho ringraziato giungendo le mani, e basta.
Nella foto, c’è lui che sorride con i suoi grandi occhi liquidi di anziano, occhi che sono potuti arrivare a quell’età, a quell’inizio di cataratta, per una pura coincidenza tra capacità suo e bisogno dei suoi carcerieri. Di fianco a lui, io che mi mordo il labbro perché mi viene da piangere.
E insomma.
La Cambogia è un posto dove hai questa storia terribile che vi ho detto, e dove però poi non c'è la durezza che trovi, ad esempio, in Vietnam.
Per questo, forse, qui mi sono sempre trovata bene: le persone sono molto dolci. È l'unica, banale parola che mi viene da usare. Soft spoken. C'è delicatezza, nonostante tutto.
Molti visitatori dicono di sentire la rapacità della povertà, qui. Io personalmente non ho avuto questa sensazione, nemmeno anni fa, quando era tutto ancora peggio. Povertà e disagio, sì. Rapacità, no. Ma sarà che sono ingenua io. O sarà che non sono andata mai a Sihanoukville. O sarà che per me, di rapace, in sudest asiatico, più dei maschi bianchi di mezza (o terza, o quarta) età, in canotta, scottati dal sole e col portafoglio gonfio, alla ricerca di “queste donne che sanno ancora essere donne, non come le nostre” (cit) non c'è nessuno. (NdR: “saper essere donne” secondo questi cosi è principalmente essere arrendevoli e servizievoli. Già.)
Per fortuna, Phnom Penh è anche tante altre cose: il vecchio quartiere francese di palazzine gialle, persiane scrostate e bouganville rigogliose. Il lungofiume dove sedersi e guardare l'acqua scorrere. Il caffè buonissimo, preparato coi filtri vietnamiti. Il mercato russo, quello olimpico e quello vecchio, coi pesci e i granchi vivi, le anguille che cercano di scappare dai secchi. La confluenza di tre fiumi. I boulevard. I caffè. Le acacie, le schiere rigogliose di frangipani di tutti i colori.
Per fortuna, dopo quei tre anni e mezzo di morte, dopo gli anni del descontrol di prostitute minorenni, droga e bianchi pessimi che addirittura finivano a lavorare a scuola (gli anni 90) c’è vita. Sono certa che ci sia ancora descontrol, ma mi sembra si sia almeno un po' ridotto.
Checché ne possiamo pensare dell'influenza cinese nel costruire infrastrutture, io ho visto una città molto meno malconcia e vulnerabile di quindici anni fa. Non vedo più bambini che vendono cose ovunque. Non vedo più bambini che sniffano la colla. Vedo ancora, purtroppo, coppie dove la differenza di età mi fa fermare un millisecondo, a farmi chiedere che rapporto ci sia tra quel vecchio bianco e quella ragazza che ha trent'anni, o quaranta, meno di lui. Ma anche questo ho avuto l'impressione che succedesse molto meno di 15 anni fa. Non credo possa essere una cosa negativa. Non ci sono nemmeno più i mucchi di monnezza alti quasi un piano agli angoli delle strade. Ne ho vista di più in Italia un anno fa, di monnezza dove non dovrebbe essercene, onestamente.
2. La Rassegna Stampa Random del mese
Métro, boulot, lexo: chi è francofon3 tra voi avrà già intuito la citazione, métro, boulot, dodo — metro, lavoro e nanna, la descrizione delle vite di molti di noi… Solo che invece che a fare la nanna, spesso, ci troviamo con in mano il Lexotan. In questi anni, il lavoro è diventato ovviamente un tema caldissimo, con la pandemia, il telelavoro, le grandi dimissioni. La cricca di Programme B, un podcast che io ascolto con piacere, discute del nuovo rapporto che si ha col lavoro dopo tutti questi cambiamenti con Séverine Bavon, che scrive molto criticamente di lavoro sulla newsletter CDLT (tramite la quale ho scoperto che naturalmente i francesi hanno un loro Substack parallelo. Siete stupitə? Io no. È un terribile altro labirinto di letture in cui mi perderò. Aiuto.) E’ super interessante, per me, sentire parlare la gente delle realtà lavorative di altri paesi. La Francia è quel posto dove ho sempre voluto vivere e lavorare per un po’, ma dove dubito che riuscirò ad andare davvero… Anche se mai dire mai. Si sta sicuramente meglio che in Spagna. Il mio problema principale è che non saprei in che città andare, dato che Parigi è grigia, fredda, e mi dà le vertigini per quanto è cara, pur amandola.
Substack batte Instagram 10 a 0… Ma non per guardare le figure. E allora, vi lascio il link al profilo di una fotografa persiana, emigrata da piccola in Canada, che ora, da adulta, viaggia tantissimo tra i Balcani e l’Afghanistan. Si chiama Kiana Hayeri. Seguitela. Abbiamo bisogno di diversità visuale nei nostri sguardi sul mondo. Buona visione.
Io sono super fan dell’architettura, nel modo più gioiosamente ignorante possibile: mi piace andare in giro per il mondo a naso per aria, e guardare i palazzi. In questo slideshow su 15 architetture considerate innovative e impressionanti alla loro costruzione, che però ora non esistono più, ho scoperto che il famoso capsule hotel di Tokyo che si vedeva ovunque, e che anche io ho visto dicendo “vabbè, non è bello ma è un tipo”, è stato abbattuto nel 2022. Ci sono rimasta un po’ male. Vedete se anche voi trovate qualcosa che avete visto, e che ora non è più.
Se parlate francese, venite, che vi porto in Cameroun. Un episodio del podcast Littérature Sans Frontières, che ci racconta il Cameroun letterario: perché esso… Esiste! Ed è bello vivace. A volte, noi, col nostro sguardo miope, questi posti li vediamo o come luogo di vacanza, o come luogo di tragedia. Senza vie di mezzo. E invece, no! Qui potrete ascoltare un editore camerunense, una venditrice di libri ambulante, una scrittrice, una distributrice di libri, il fondatore del progetto bibliobus/motobus locale, ed infine, un giornalista letterario. Nella descrizione dell’episodio vedete tutti i nomi e i riferimenti dei progetti delle persone in questione. Pronte e pronti a partire? A me sto episodio ha messo super di buonumore!
Sul lavoro, stavolta in italiano, c’è un vecchio episodio di Fuori da Qui di Simone Pieranni, dove si riflette sempre sul nostro rapporto con il lavoro e con il tempo che esso occupa nelle nostre vite, raccogliendo prospettive dalla Gen Z che ritiene che il lavoro mangi troppo del nostro tempo — io non sono Gen Z, e dico la stessa identica cosa da decenni — ma anche dai sans papiers in Francia, e dagli scioperanti in Algeria. Ovviamente è un po' datato per quanto concerne l'attualità, ma non per le riflessioni sulla natura del lavoro, a inizio episodio.
Qui, trovate una intervista con Bianca Bellová, scrittrice ceca, edita da Miraggi Edizioni. Totalmente fuori dalle mie latitudini calde di fiori giganti, zanzare, umidità e polvere, ma proprio per questo mi ha incuriosito, quindi ve la passo. Devo solo decidere da che libro approcciarmi a questa scrittrice. Per me, ogni tessitrice (o tessitore) di storie è un nuovo mondo in cui entrare. Di lei ho sentito parlare bene di qua e di là, a una certa, dovrò buttarmi. Tu l’hai già letta? Se sì… Mi racconti? E quale libro mi consiglieresti, per iniziare?
Cento giorni di shock: i primi cento giorni di Milei. Il podcast è in spagnolo, della redazione di El Hilo, podcast che vi ho già consigliato in passato perché davvero, raccontano benissimo il mosaico sudamericano, e di cui sono sostenitrice mensile. Che vi devo dire. Mi è venuta l’ansia solo ad ascoltare, e come sempre, mi è venuta la morsa di preoccupazione allo stomaco che mi viene ogni volta che penso alla situazione in Argentina da quando è stato eletto questo presidente, in maniera molto concreta: penso a mio cognato che è aiutocuoco e si sbatte e comunque non ha i soldi per vivere, agli amici di Martín che sono professori e le scuole e università da qua a fine mese non sanno bene come pagarli. E’ veramente tanto inquietante. Se volete sapere davvero qual è la situazione sul campo, come le misure di questo coso con la motosega stiano impattando le persone, il loro quotidiano, ascoltate. Nel frattempo, il 23 aprile c'è stata una manifestazione oceanica per proteggere l'università pubblica. C'era così tanta gente in piazza che mi sono commossa, e nemmeno si parla del paese mio. Ma l'istruzione è come la memoria. È un bene di tutte e tutti. Vi lascio anche un pezzo di Internazionale su questo losco figuro, tradotto da Die Zeit, che in tedesco trovate qui. In entrambe le lingue, gli articoli sono dietro paywall.
Per la terza volta, sono qui a parlare di ISIS. Lo avevo fatto qui, e anche qui. In questa puntata di Globo, si analizza ciò che è accaduto a Mosca, l’attentato di cui abbiamo tutti sentito parlare, e si spiega molto bene un punto che io trovo molto interessante: per l’ISIS, russi e francesi sono la stessa cosa. Nel podcast, si parla con Daniele Raineri dello storico tra fondamentalismo islamico e Russia (vi ricordate di Beslan e l’attacco al teatro di Mosca? Io benissimo) e dell’ultimo appena accaduto. Non è un episodio leggero, ma merita comunque l’ascolto.
Il lavoro è intimamente connesso a un altro tema di cui non si parla mai abbastanza: quello dei soldi. Avete mai sentito parlare del movimento FIRE? Io no, fino a pochi mesi fa. Qui, la newsletter Rame ci parla del movimento FIRE e di come raggiungere l’indipendenza finanziaria. Che se ci pensate è un ottimo modo per lavorare meno, o non lavorare proprio, prima dell’età della pensione. Stando a loro, non è possibile solo per chi è già ricco e privilegiato. Io ve lo lascio, poi vedete voi. E vi consiglio anche di iscrivervi a Rame, e sentire il loro podcast. Abbiamo bisogno di parlare di soldi, di come ci relazioniamo ad essi. E’ un tema molto più profondo di quanto si creda, e mi piace Rame perché mi porta a riflettere sul tema, che non per forza è un tema facile.
Catrame e Libertà è uno spazio sostenuto da voi, oltre che da me: nuove idee su libri, film, serie, viaggi e una selezione di articoli stimolanti due volte al mese, da uno spazio culturale che attinge dall’inglese, dal francese, dallo spagnolo, e a volte anche dal tedesco.
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Per ora niente abbonamenti, solo donazioni non vincolanti, in libertà.
3. Altri social, regalini, agenda, il link ai vecchi numeri
Due volte al mese insieme con Catrame non ti bastano? Yeah! Troviamoci su LinkedIn. Lì trovate (in inglese) un sacco di roba su come funziona il Neurolanguage Coaching, Non c’è la prof Rottenmaier a dirti fai questo e fai quello. Cosa fai e con che tempi, lo decidi tu, non io. Sei tu che sai cosa ti serve. Anche se probabilmente pensi di no. Daje che lo scopriamo.
Quando non leggo libri e non faccio lavori via dal computer, infatti, lavoro online come coach di inglese: sono coach certificata di Neurolanguage Coaching®.
Si tratta di una forma di accompagnamento didattico, emotivo e logistico per farvi arrivare a parlare l’inglese in maniera sicura ed efficace, e soprattutto, per aiutarvi a vedere l’inglese per quel che è: uno strumento per fare cose interessanti. Fuori e dentro dal lavoro. Sicuramente non una cosa di cui avere paura. Ho scritto questo carosello su come funziona su LinkedIn, che spiega di che si tratta, e che vi farà intuire che è parecchio diverso da prendere un insegnante a caso su Preply (cosa che può anche essere utile. Ma che è un’altra cosa.)
Qui trovate due regalini: uno per aiutarvi a iniziare a sviluppare il vostro inglese parlato in autonomia, se vi interessa farlo; l’altro invece per fare un po’ di self-coaching e vedere se è davvero la lingua inglese a bloccarvi, o se è qualcos’altro, magari relativo alle vostre esperienze di apprendimento passate, o più legato all’ambiente di lavoro, magari.
Su Instagram sono @migrabonda, ma lo uso poco, principalmente per cazzeggio, e per leggere il prossimo. Però oh, se volete, volentieri ci vediamo lì eh!
È la prima mail che ricevi? Qui trovi l’archivio di tutte le altre :)
4. E per chiudere, Georgi, di nuovo, che vi devo dire, lo amo
Sbucciare una mela
Ci sono movimenti che risvegliano il passato. Sbuccio lentamente una mela con un coltellino tascabile (un tempo si diceva coltellino da tasca), osservo come si arrotola la spirale della buccia, asciugo il succo di mela sulla lama. La mia mano ricorda la mano di mio padre, che ricorda quella di mio nonno. Non sono io, è la mano che ricorda. Non sono io, è mio nonno che sbuccia la mela. E tutti e tre la inghiottiamo contenti.
— Georgi Gospodinov
Io sto finendo questo numero con un anticipo esagerato, perché la Cambogia mi ha sbloccato un fiume di parole e sentire e osservazioni, come vedete.
Quando riceverete questo numero, e la sua compilation di link, probabilmente sarò di nuovo qualche giorno a Milano a fare di nuovo casa-ospedale, se non ci saranno sviluppi, e poi sarò a Barcellona.
A casa, a lavorare, a mettere ordine nei pensieri, a organizzare cose nuove di lavoro che mi tengano anche via dal computer e mi facciano muovere e respirare di nuovo la città.
Se leggete da Barcellona, battete un colpo. Io ho sempre voglia di conoscere nuove persone.
Intanto, come sempre, grazie di leggermi 🪷
A tra un paio di settimane,
Paola
Il Camerun letterario, dici? Mi ci ficco!! Per quanto riguarda il "coso" con la motosega, condivido tutto quello che dici. Il problema però non è solo lui, ma anche tutti quelli che sono venuti prima di lui. Il governo di prima non era meglio, e siamo in questa situazione da decenni (pensa che noi ce ne siamo andati nel '96 perché mio padre aveva un'officina meccanica e i clienti non lo pagavano, quindi facevamo la fame). Il problema non è (solo) Milei, viene da decenni di politiche sbagliate e populismo (anche e soprattutto di Cristina Kirchner), dal livello culturale non sufficiente della popolazione (e quindi non hanno gli strumenti per capire e migliorare le cose), da un sacco di cose su cui non mi esprimo troppo perché sono via da troppo tempo e non ho il polso. Milei è la punta dell'iceberg, ma sotto ce n'è un bel po' di ghiaccio, diciamo. Un abbraccio e buon rientro a Barcellona (peccato che non ti conoscevo quando ho vissuto lì, mannaggia!).
In generale negli ultimi anni la vita politica si è fatta difficile in vari luoghi, è difficile votare in Argentina e in Italia non siamo messi molto meglio.
Ci sono toccati tempi parecchio bui, a livello politico, in varie regioni del mondo.
Per quello, in origine, Catrame guardava solo alla letteratura e alle storie, perché il mondo reale mi sembra sempre più difficile da osservare. Il problema è che non sono capace di astrarmi del tutto da esso, perché sono cresciuta con l'idea che se non ti occupi di politica, stai tranquilla che la politica si occuperà di te 🤣
Quindi alla fine non riesci ad essere stolida come vorrei. Ed eccoci qui con gli inserti infodemici.
Nella prossima vita voglio essere una mucca che guarda passare i treni, ciancicando erba