Fallo pure se hai paura | Inserto Infodemico 13
Paura, rischio e desiderio; sesso e relazioni; fantascienza giapponese; documentaristi in Vespa; genere e orientamento politico; una fotografa polacca; strategie anti distrazione digitale
Quello che desideriamo, spesso, è acquattato dietro una paura
I link infodemici del mese
Fuori da qui: language coaching; link a podcast e interventi; a LinkedIn; a Instagràm, a Notes, all'archivio di Catrame
Catrame Amarcord:
Tempo di lettura: 13 minuti, meno se passate direttamente ai link.
Ciao compas,
Ben ritrovate e ritrovati.
Come state?
1. Fallo. Pure, anzi, soprattutto, se te la stai facendo sotto di paura
Le cose migliori della mia vita sono quasi tutte frutto dell'aver avuto tantissima paura, ed essere andata a fare ugualmente quello che mi faceva paura.
Andare a vivere in Turchia a vent'anni senza conoscere nessuno né parlare il turco, per uno stage non pagato, senza sapere bene come andare più in là di tre mesi.
Iniziare a insegnare, per tutti i primi anni davanti a persone più in alto di me per età e posizione, spesso CEO, amministratori delegati e manager, e tu la ragazzina che arrivava e gli diceva, sì ok, però adesso scendi dall'organigramma, che si impara meglio con umiltà e umorismo.
Tornare in Turchia alla fine di una stagione di bombe e attentati, al grido di non lascio decidere ai terroristi cosa faccio del mio tempo e delle mie scelte (e finire in una specie di golpe una settimana dopo l'arrivo. A volte la testardaggine va male, ma non rimpiango nulla, mi è andata comunque ancora bene.)
Lasciare andare una relazione rancida, tipo che meglio persa che ingabbiata, vivendo a novemila chilometri da qualunque possibilità di coccola materna/nonnesca con i ravioli domenicali, e ciucciarsi tutto quello che viene dopo una rottura del genere nella vulnerabilità del molto lontano (ma per fortuna non da sola, perché c’era la famiglia d’acqua.)
Mollare tutto quello che hai costruito con la fatica di tre anni di lavoro in un paese emotivamente ostile ma professionalmente appagante, per andare a fare la volontaria in ostello in Sudamerica, a fare quella dei succhi naturali, ad aiutare i cuochi, a vendere i brownies vegani, a preparare le colazioni, a imparare tutti i nomi della assurda varietà di frutta che esiste in Colombia.

Mollare un lavoro sicuro, ma sminuente e mal pagato, per iniziare da zero con il lavoro in digitale, per fare quello che ti viene bene e che migliora il mondo, senza l'ombra di un cliente per iniziare, senza sapere una mazza di marketing digitale, senza mai aver aspirato ad essere una nomade digitale o roba simile. Perché il punto non è il nomadismo, ma realmente la libertà didattica ed espressiva di ciò che fai, senza fare la fame a 15 euro l’ora. Se Barcellona non te la dà, allora, te la dovrai prendere da un’altra parte.
Andare in Iran da sola anche se la notte prima di partire hai sognato che ti arrestavano perché avevi sbagliato la scelta dei vestiti, e poi finire con la moglie e la suocera femministe di un tuo ex studente, mediche, a camminare per un mercatino di Teheran senza hijab per supportare la loro causa. Capelli rossi, capelli biondi e capelli castani, a camminare insieme con addosso centinaia di paia di occhi, con lo stomaco stretto mentre guardi una bancarella di tulipani e ti chiedi se è posizione politica e sorellanza, o se è pura incoscienza (probabilmente entrambe), sperando che a nessuno venga in mente di chiamare la polizia religiosa (c’è da dire che erano altri tempi in Iran. Forse l’ultima finestra di tranquillità che hanno avuto.)
Andare a parlare di lavoro in una lingua quarta senza aver mai parlato in pubblico, dovendo infondere agli altri una fiducia che non hai, finché magicamente, dopo una settimana senza dormire per l'ansia, ti trovi davanti 50 persone che aspettano di vedere cos'hai da raccontargli, vai benissimo, loro esaltati e felici, tu gioiosa perché avevi un sacco di paura ma ce l'hai fatta lo stesso, e quando ringraziando, alla fine, hai detto che era il tuo primo impegno da formatrice per insegnanti, è pure partito un applauso, e ti hanno detto, ma non sembrava, bravissima! Benedetto humour.
Questa cosa del fare nonostante la paura è una cosa che mi accompagna da sempre, e che per me da sempre va a braccetto col desiderio.
Spesso, quello che io voglio è al di là di una paura che ho.
L'amore era al di là della mia paura di aprirmi e fidarmi. Cosa difficilissima. Ma se si impara ad ascoltare e osservare, e soprattutto a rallentare i ritmi, ad aspettare, a stare, accadono grandi cose.
Il successo nelle cose è spesso al di là della paura di fallire, che spesso ci inibisce, portandoci a non iniziarle nemmeno.
L'espressione è al di là della paura di fare male qualcosa, quando il modo migliore di essere creativi è abbandonare standard e imposizioni, e mettersi a giocare, come faceva Georges Perec.
L'indipendenza è al di là della paura della solitudine. Ma è solo quando si passa del tempo con se stesse, che ci si rende conto che siamo una compagnia molto migliore di quanto credessimo. E che siamo anche molto più forti e capaci di quanto immaginassimo.
È un tema a cui sto pensando spesso, questo, ultimamente. Nei social italiani vedo spesso l'idea che non è vero che se vuoi puoi. Mi chiedo come mai si senta così spesso la necessità di esplicitarlo. Lo dico non per polemizzare, ma da persona che l'Italia la frequenta poco di persona, e un poco di più a livello di media, ma nemmeno molto. Probabilmente mi manca qualche dato per capire, o forse mi manca l'esperienza di vita adulta lì, con un capo wannabe Briatore che ti dice che non stai facendo abbastanza anche se stai facendo assai, boh. Sono d'accordo e so che è vero, ma… Nemmeno non esponendosi mai al rischio si va molto lontano.
Quella italiana ai miei occhi è una cultura molto avversa al rischio: vuole il posto fisso, perché c'è poco lavoro. Vuole il posto pubblico, perché c'è poco lavoro. Compra casa presto, perché è sicuro. Pensa alla pensione fin da giovane, perché la pensione è davvero importante (cit) una delle poche cose sicure che ci sono nel paese – ma per quanto, ancora? E davvero dobbiamo basare le scelte su un futuro così lontano? Chi ci garantisce che ci arriviamo?
Mi ricordo di questo episodio di Costa che parlava di lavoro in US vs in Italia, citando l'aneddoto dell'amica americana a Milano che mollava tutto perché si era rotta degli stipendi infimi delle nostre parti e voleva provare a fare in proprio. I suoi amici italiani le dicevano, ma sei matta? E quelli americani le dicevano che faceva benissimo, ignari della folle burocrazia italica, forse. Mi aveva molto colpito, questa storia, perché è veramente sintomatica di due modi opposti di stare al mondo.
Io sono cresciuta con il primo. Poi, sono andata via e ho visto che il secondo non è, come si potrebbe pensare, solo un'americanata. E’ appannaggio di un sacco di altre culture che partono con un secchiello di cazzimma e vanno e mettono in piedi cose in circostanze anche molto avverse – penso alle varie persone latinoamericane che conosco e ammiro a Barcellona, o di origine africana a Milano, arrivate con un milione di difficoltà, ostacoli burocratici, discriminazioni, sbattimenti, storie traumatiche, e che hanno comunque fondato cooperative, micro teatri, piccole imprese, negozietti, spazi culturali. Oppure arrivano senza nessuno alle spalle e si costruiscono carriere di successo nell'accademia, nelle imprese.
Detesto da sempre il ritrarre i e le migranti unicamente come povere persone in fuga dalla disperazione. C'è anche quello, c'è anche lo sfruttamento – ma non solo. Ci ho pure scritto la tesi, comparando e contrastando la rappresentazione dei migranti sui media italiani e su quelli britannici. Ci sono anche creatività e voglia di vedere il mondo, grazie al cielo, con il problema fondamentale della disparità di trattamento per passaporto. Questa narrazione di intraprendenza mancava completamente, 15 anni fa, sui media italiani che avevo esaminato.
Quasi dieci anni fa ormai, i giornalisti Andrea De Georgio e Luca Pistone avevano girato in moto per l’Africa Occidentale intervistando i migranti su cosa li spingeva a partire. Anche se è passato del tempo, questo documentario, che ci porta dal Senegal all’Italia, seguendo la rotta migrante, è ancora fortemente rilevante anche solo perché dà voce ai e alle migranti in prima persona. Sul link trovate tutti i video.
La voglia di fare, e di creare una propria realtà, era anche il piglio delle persone che incontravo quando facevo la volontaria coi migranti, quando ero studente. Lə ho sempre ammiratə, e credo che mi abbia fatto bene, trovarli sulla mia strada.
È vero che non è vero che se vuoi puoi. Ma a volte lo è. E se ce la fanno loro, a trovare un modo, con tutti questi ostacoli, allora, magari, ce la possiamo fare anche noi.
In italiano – e in francese, ho visto il weekend scorso alla formazione all'istituto francese – non esiste una parola equivalente a empoderamiento, a empowerment. Quella sensazione di gratificazione e efficacia che esse descrivono è una cosa molto bella. È gasolina, è motivazione, è dire: magari posso anche io. Magari no, ma magari sì, e l'unico modo di vedere se è sì o no è provare a fare quella cosa che vuoi fare.
Credo che sia anche grazie all’esempio di tant3 migranti, che nel corso degli anni mi sono trovata a fare cose magari non sicure, ma che mi hanno permesso di esprimermi.
L'energia che ho visto in queste persone, e la sensazione di doverci almeno provare, a fare il mio, proprio perché ho tutta una serie di privilegi che vanno dal passaporto “corretto”, alla salute e all'istruzione. Sarebbe un vero peccato, con una base così, farsi segare le gambe dalla paura.
Non sono diventata ricca a livello economico, ma ho sempre avuto una vita dignitosa dove ho potuto studiare, viaggiare e vivere. Ma se parliamo di esperienza di vita, sono Paperon de Paperoni.

Ma passiamo ai link del mese.
2. La Rassegna Stampa Random del mese
"Molto tempo fa sulla Terra c'erano solo le donne. Vivevano in pace, finché una partorì una creatura mai vista prima, con il corpo deforme e modi tanto rozzi da risultare fastidiosi. Morì, non prima di aver dato alla luce una progenie: ebbe così inizio la stirpe degli uomini”. Questa premessa, apre il primo di sette racconti raccolti in Noia terminale (Add 2024, traduzione di Asuka Ozumi) Izumi Suzuki è stata scrittrice di fantascienza in un'epoca in cui la fantascienza era appannaggio dei maschi. Suzuki è stata riscoperta solo ultimamente, e Add pubblica ora in italiano questa raccolta di racconti sua. Chiedetemi di nuovo perché li amo, poi. Vi lascio un pezzo su Izumi Suzuki da Tokyo Weekender.
Il lavoro di una fotografa polacca che mi ha stregato, qui. Tema madri e figlie, per niente fiabesco, e con echi quasi espressionisti. Non so perché mi ha affascinato così tanto. Il bello dell'arte è che non la devi spiegare.
So che in Italia Deborah Levy, portata dai miei coccoli di NN Editore, sta passando un momento d'oro. E quindi, armatevi di buona volontà e ascoltate questo articolo su come Deborah Levy potrebbe cambiare le vostre vite. Se preferite leggere, andate qui.
questo podcast del New York Times sembra che parli di elezioni americane ma in realtà parla di voto per genere, e si è visto che è stata una variabile determinante. In particolare si sentono le voci degli elettori intervistati da una giornalista, e vi giuro, apre tutta una finestra su quella storia dei giovani maschi che votano Trump perché causa inflazione non si sentono abbastanza maschi perché non guadagnano più delle proprie compagne, e cose così. Davvero, vale l’ascolto.
L'incredibile vita di Paul Alexander, che aveva avuto la poliomielite negli anni 50 e che nel 2020, quando uscì il pezzo, viveva ancora in un polmone d'acciaio. Se è riuscito a laurearsi lui, c'è da dire che è vero che non sempre se vuoi puoi, però ogni tanto, sì. Non so se sia più pazzesca la vita del signor Alexander o l'invenzione dei polmoni d'acciaio. Comunque mi aveva colpito così tanto, tutto, che sono andata a stanare sto pezzo solo per voi.
Io non so voi, ma a volte mi sembra di smattare sotto la quantità di canali e piattaforme dove la gente può scrivermi i messaggi. E non sono l’unica. L’artista turco-tedesca
è qui su Substack con una newsletter dal nome meraviglioso, chiamata As Slow as Possible, “il più lentamente possibile”. In questo pezzo qui su Substack, ha raccontato (in inglese) in maniera efficace e divertente quella sensazione che anche io provo spesso, di sommersione digitale, che poi è la ragione per cui ho creato Catrame, che è lungo, che ci vuole un quarto d’ora per leggerlo e un botto di tempo per scriverlo, e che mi tiene via dal telefono. Tuğba racconta la sua esperienza e suggerisce ottime soluzioni punk contro il digiammorbo, tra cui il nascondere il telefono da te stessa. Cosa che io faccio ogni weekend da venerdì pomeriggio a lunedì a pranzo, nella speranza di leggere i libri e non distrarmi. Perché non è mica solo colpa di chi mi scrive. E’ pure colpa mia che spippolo e che se leggo la parola “beluga” in un libro SUBITO cerco TUTTO sui beluga su google IMMANTINENTE. Non si può vivere così. Hehe.L'invecchiamento ha un problema di PR, secondo Nina Gigante su
. Come sapete, la questione invecchiamento per me è un tema affascinante, perché non è evitabile. Quindi, anche se sono ancora abbastanza nel fiore degli anni, mi piace studiare per capire come invecchiare bene, perché non farlo non è un’opzione (e vorrei non morire giovane, grazie.)
La rassegna infodemica continua dopo il momento manifesto:
Il mio obiettivo è aiutarvi ad aumentare la diversità culturale presente nelle vostre vite.
È un modo diverso (e adorabile) di fare politica.
Se il diverso lo ascolti, lo conosci, lo leggi, tenti di capirlo, da una posizione di apertura e curiosità, apprendendo dai e dei modi altrui di stare al mondo, è più difficile essere chiusi e bigotti.
Il viaggio non è alla portata di tutti.
La cultura può permettere di aprirsi anche a chi non può o non vuole muoversi.
Gli abbonamenti sono un impegno, e io voglio che per ora ci sia libertà da entrambe le parti. Però, se potete, ovviamente aiuta, perché il capitalismo:
Se volete sostenere Catrame, potete farlo con una donazione libera una tantum su PayPal, cliccando qui sotto. 2€, 5, 10 – vale tutto, e se mi conoscete saprete che andrà tutto in cibo, libri e ogni tanto biglietti aerei, o del treno.
Sesso e relazioni / 1. Anche se adesso non lo sono più, la relazione che ho adesso non potrebbe essere nata se non avessi avuto un periodo che chiamavo di maggese, detto anche sciopero della fr*gna, in modo fine, detto anche oggi dalla gioventù essere boysober, o decentralizzare le relazioni romantiche. Quei momenti in cui mi rendo conto che pensavo di essere traumatizzata, e invece ero solo avanti. Lol.
Sesso e relazioni / 2 Una collezione di vari episodi sulle evoluzioni delle sessualità in Francia negli ultimi vent'anni, in francese: le prime volte che arrivano più tardi, i generi fluidi, gli uomini che cercano effettivamente di capire come dare piacere alle donne, l'aumento del numero di coppie lesbiche alla luce del sole, la masturbazione femminile come tema di cui si parla più apertamente. Un sacco di roba interessante da sentire, insomma.
È uscito in italiano il nuovo libro di Han Kang 💜 Io ce l'ho in coda in inglese nel Kindle da un po' di settimane, ma purtroppo sto lavorando così tanto che sto leggendo poco, per i miei standard. Ho il cervello esausto. Vi lascio un link dove raccontano un po' di che si tratta, e perché leggerlo.
3. Logistica: parlare inglese con gioia e cazzimma; LinkedIn, Instagram, link a Notes e all’archivio
Ci vediamo su LinkedIn? Sono coach ICF di Neurolanguage Coaching®,e scrivo lì di quello che faccio fuori da Catrame, cioè lavorare. Mi dicono sia necessario.
Lavoro online e da sola, perché le scuole di lingue, in media, trattano non male gli insegnanti: li trattano malissimo. Li sottopagano e li forzano pure a usare libri e metodi senza senso. Quindi, io ho detto basta, ed eccoci. Qui, qui, e qui, potrete leggere meglio di che si tratta, e di come funziona la faccenda. Su LI, parlo di apprendimento linguistico, e dei trabocchetti mentali che ci tendiamo per svicolare dal parlare 💙
Se stai pensando di lavorare con me, parliamone. Se vuoi prenotare la tua chiamata per conoscerci, vai qui e prenota i tuoi 20 minuti con me, senza impegno, per sapere come funziona la faccenda.
Su Instagram sono @migrabonda. Meme, pensieri, podcast, cose di libri e minchiate, a volte mondo reale. Come qua, ma più stupidino.
Se usate la app di Substack, possiamo seguirci anche sulla sezione Notes: pensieri estemporanei, repost di cose che mi ispirano, o mi hanno parlato.
È la prima mail che ricevi? Qui trovi l’archivio di tutte le altre :)
4. Catrame Amarcord
Un numero vecchio da andare a spulciare.
La lunghezza effettiva della vita
Il primo numero di quest'anno, che ormai siamo quasi agli sgoccioli, dove parlavo di partenze e ritorni, consigliavo un libro STUPENDO di partenze e ritorni italo-argentini, uno su delle punk inglesi, Patti Smith e André Brink dal Sudafrica.
E anche per questo Inserto Infodemico, mie care, miei cari, abbiamo finito.
Presto nasconderò il telefono nel cassetto delle mutande per avere testa per leggere gli ultimi libri di Elif Shafak e Han Kang. E voi?
A presto, e grazie di esserci 🧿
Pao
Voy a pensarlo
Questa cosa di fare le cose che ti fanno paura è molto vera. Cioè, vanno fatte almeno una volta ogni tanto. L’ultima che ho fatto che mi faceva paura è lanciare la newsletter. La prossima che farò sarà sganciarmi dal delirio dei compiti delle scuole medie, accettare che mio figlio prenda una sfilza di brutti voti e che si viva le (orrende, per lui) conseguenze della sua svogliatezza. E questa cosa mi fa paura perché sono io che non so se ho energia a sufficienza per “mantenere il punto” sulle conseguenze.