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Questo mese:
Ciao pater
Il tuo nome è come musica
Consigli dicembrini
Ultime letture + consiglio di archivio dal New Jersey (ma pure da Santo Domingo)
Tripletta di podcast: da Raqqa a Palazzolo sull'Oglio, passando da Mosul
Logistica e sentiment’
Ya estamos
Il sommario è un invito a saltare le parti che non vi interessano.
La cosa del no alle regole, qui dentro, vale anche per voi.
Diciassette anni
“Tutti i papà hanno il loro fischio speciale, il loro richiamo speciale. Il loro modo di bussare. Il loro modo di camminare. Il loro marchio sulla nostra vita. Crediamo di dimenticarcene, ma poi, nel buio, sentiamo un trillare di note e il nostro cuore si sente sollevato. E abbiamo di nuovo cinque anni: stiamo aspettando di udire i passi di papà sulla ghiaia del vialetto”.
(Nel mio caso, tra la porta dell'ascensore e quella di casa)
Pam Brown
A novembre sono stati già 17 anni che mio padre se n'è andato.
Chi è nato quando lui è morto, ormai, è già un adolescente sull’orlo della maggiore età.
In 17 anni, la perdita cambia forma circa un milione di volte, si alleggerisce, a una certa non sai bene come diventi capace di pensare a chi manca sorridendo, perché anche se non c’è più c’è stato, e hai detto niente.
C'è chi un papà non ce l'ha neanche un minuto.
C'è chi ce l'ha per anni e si trova a pensare che è come non averlo.
Chi ce l'ha per decenni e pensa che sarebbe stato meglio senza.
Mio padre non c’è da quasi due decenni, ma la prova del suo buon lavoro è che sono qui a scrivere di lui… E non per recriminare.
Piuttosto, per mandare questa mail come un messaggio in bottiglia,
sparato verso il cosmo.
Io, che di anni ne avevo una ventina e qualcosa, quando ci ha lasciato, mi sento di avere avuto tante vite come i gatti.
Una per ogni espatrio e ogni fase della mia vita, col suo diverso modo di stare al mondo.
A volte, mi chiedo cosa avrebbe pensato della me adulta, se avrebbe approvato questo girovagare, esplorare, espatriare continuo, o se il suo lato imbruttito mi avrebbe detto:
ma che cazzo stai a fa’, Pa’?
Lui parlava sempre di come sperava che più di tutto nella vita avessi spazio per essere ed esprimere me stessa, dato che lui ne aveva avuto meno di quel che voleva, e poi pum, a cinquant’anni, è morto, dopo mesi chiuso in una stanza d’ospedale, invece che in giro a vivere, come piaceva a lui.

Io mi sa che in parte ho vissuto come ho vissuto finora anche per vivere pure per lui, che nelle sue carte aveva un foglio con gli anni futuri elencati in colonna, e a fianco di ogni anno, un paese all’anno che avrebbe voluto visitare.
E invece, non ha visto niente.
Quindi, io, ho deciso che avrei visto tutto ora senza aspettare la pensione, perché magari, come lui, non ci arrivi. E non lo dico con un'attitudine tragica: penso che mi abbia portato a vivere una vita bellissima, questa costante consapevolezza dell'impermanenza.
Avevo trovato questo foglietto nella sua scrivania, poco dopo che era morto, e niente. Non so dove sia finito. Ma me lo ricorderò per il resto della mia vita.
Dopo il foglietto, avevo scritto la tesi, per qualche mese; due settimane dopo la laurea sono partita di corsa per Istanbul, e non sono più tornata.

Immensamente Giulia
Io, sarà l’età, faccio sempre più fatica a fare politica, a pensare in senso politico.
Poi finisco sempre a farlo perché mi sa che è il mio modo di stare al mondo.
Penso il mondo in senso politico da che ero adolescente.
Spero che il nome di Giulia Cecchettin, la sua storia, e il coraggio di sua sorella Elena, diventino determinanti come quella del Circeo, in Italia, perché stavolta anche le nostre mamme che femministe non si dichiarano — la mia e quelle di tante amiche — stanno facendo discorsi femministi.
Perché è stato troppo, perché quando abbiamo letto che la Giulia era sparita, lo sapevamo già tutte com'era finita.
Lo sapevo io, lo sapeva mia madre, lo sapeva pure il mio compagno.
Perché finisce sempre nello stesso modo.
E quindi, io che vado in giro da mesi dicendo che sono stanca e voglio riposare la mente e il cuore leggendo solo storie, che non voglio portare qua dentro la realtà, mi sono ritrovata a leggere, scrivere e discutere di femminicidio varie volte.
Perché come fai a non, quando passi il tempo in allerta ascoltando le storie delle donne che ami intorno a te, per essere sicura che sia davvero tutto a posto?
Non so come fermare questa ecatombe.
Ma so che parlarne, di continuo, è necessario.
Perché solo se verbalizzi un problema sai che esiste.
Giulia è stata la vittima numero 105 del 2023.
Arrivata in Italia, ho riaperto questa mail per programmare l’invio.
Di nuovo col caffè, di nuovo da Francesco Costa, ho sentito di altre due donne uccise dal marito.
107.
Come in ogni periodo buio, il mondo della creatività, delle storie, dell’arte, mi fa da medicina.
Non come una fuga: come uno specchio. E infatti, ormai lo sapete, che non rifuggo dalle storie pese.
E quindi:
I ritagli dicembrini
Novembre credo sia il più crudele dell’anno per me, insieme a dicembre.
La Norvegia dell’anno, dice qualcuno di novembre, e io sono più portata per altri lidi.
E’ il bimestre più duro, il più buio di tutti, anche se a Barcellona, ad Atene, dove sto scrivendo un pezzo di questa lettera, lo si soffre un po' meno.
Io sembro umana, ma a volte penso che il mio sangue abbia dentro una porzione di clorofilla.
Sto male lontana dall’acqua, sto male se c’è poca luce, e spesso, quando il mondo si indurisce come in queste settimane,
guardo gli alberi, guardo le foglie, e provo una certa invidia nei loro confronti.
A volte vorrei essere albero.
La Casa dei Quattro Venti, Elif Şafak. Lasciamo stare sto titolo senza senso che non quello di infondere immagini di broccati, spezie e orientalismi a chi se lo trova davanti. In inglese, si chiama semplicemente Honour. Una storia che, con la voce di Esme, ci porta indietro nel tempo fino ai tempi dell’infanzia di sua madre e di sua zia, Kader (destino) e Yeter (abbastanza, sì, davvero), poi Pembe e Jamila, gemelle, nate in un paesino curdo, dai destini molto differenti. Seguiamo la loro storia, quella di Esme, Iskender e Yunus, i figli di Pembe nati a Londra, e insomma, mi fermo qua che se no spoilero. Dicono un “romanzo ricco di magia e di sentimenti”: secondo me è una balla orientalista fatta per vendere. Io me lo ricordo come piuttosto crudo, che dovreste leggere se volete una delle tante possibili prospettive di come può andare una vita, scivolando verso la radicalizzazione.
Il Mandarino Meraviglioso, Aslı Erdoğan. Una donna con una benda su un occhio si aggira di notte per le strade vuote di Ginevra (sorella mia, donna mediterranea che finisci in mezzo alle montagne e esci solo te la sera, ti sento vicina): pensa ai suoi amori perduti (Istanbul, un certo Sergio), immagina un personaggio letterario, e poi si sposta dall’asettico virante al clinico di Ginevra di nuovo a Istanbul. E mi ricordo che lì c’era una pagina dove la protagonista guardava Istanbul dall’alto, come facevo io, che mi ha torto lo stomaco da quanto mi ha riportato alla me ragazzina finita a vivere da sola in una città così incredibile. Purtroppo non ho il libro con me, sicuramente ho segnato quella pagina in qualche modo. Ma magari ve la metterò.
Io Non Sono un Albero, Maryam Madjidi. Una cosa che non si dice spesso degli iraniani, dei persiani, è quanto sono divertenti. Hanno molto senso dello humour, e credo che sia parte della loro resilienza nella tragedia (e se avete un problema col termine resilienza, un giorno parliamo anche di come un termine che descrive una qualità psicologica fondamentale sia stato sequestrato da CEO e ipercapitalisti vari, in Italia. E vi perdete molto, se pensate che sia una parolaccia. Riprendiamocela.) Ad avercela, la resilienza. E se leggete il libro di Madjidi, capirete bene perché dico così — ho scelto questo libro, ma è solo uno dei numerosi scritti da esuli e figli di esuli persiani, che adoro proprio per la loro capacità di raccontare cose terribili e allo stesso tempo rimanere ironici e autoironici. Non che ci si possa aspettare altro da una popolazione dove pure i tassisti ti dicono, signorina ma lei che è qui in gita, l’ha letto, vero, Hafez?
Exit West, Mohsen Hamid. C’è anche questo articolo della Rivista Studio che voglio passarvi, su questo. E’ un libro che o lo ami, o lo odi. A me, che la realtà mi affatica e allo stesso tempo ne voglio leggere, sembra aver fatto un ottimo lavoro nel parlare di qualcosa di molto concreto e doloroso da un punto di vista diverso, da una dimensione che non sia solo il realismo più crudo. E’ un modo di raccontare che per me funziona bene. L’idea di far usare a dei migranti dei portali magici che trasportano le persone senza che possano prima sapere dove finiranno può sembrare una cazzata.
E invece, credo sia molto simile all’esperienza di molte persone che pagano uno scafista, un coyote, un passeur: so da dove parto, ma non so dove finisco. Ma in ogni caso, so che devo andare. Hai detto niente. E secondo me Hamid rende molto l’idea.
Piccolo Dizionario Cinese - Inglese per Innamorati, Xiaolu Guo, il mio solito spiraglio di sole finale, ispirato dai Frammenti di un discorso amoroso di Barthes. NdR: Xiaolu Guo è una scrittrice della madonna. La rivedrete, qui. Io l’avevo letto a Vienna, quando stavo con il mio ex austriaco. Il nostro rapporto era più o meno facile come quello di una ventenne cinese appena arrivata in Europa con un tipo inglese di vent’anni più grande di lei: per niente facile, pure se in teoria eravamo cresciuti in paesi vicini. Ho meno differenze culturali e di temperatura emotiva con l’uomo con cui sto ora, che è cresciuto dall’altra parte dell’oceano in una famiglia di origine siriano-libanese e spagnola. A me aveva parlato molto, perché all’epoca spesso mi ero sentita fuori posto come la protagonista.
Come spesso capita, mi chiedo come sarebbe rileggerlo, ora che la quarantenne sono io.
Carosello
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Letture recenti + un consiglio di archivio dalla Rep Dominicana
Solo due, ma densi.
V13 di Emmanuel Carrère. La quarta di copertina francese lo descrive come una traversata, e lo è. Io questa stagione di attentati in Europa l’ho vissuta da lontano e nemmeno mi ricordavo che ci fosse stato un attentato in stazione a Bruxelles, a riprova del fatto che globalizzazione o no, le notizie comunque continuano ad avere un carattere regionale. Una volta che si esce dalla sezione “Le Vittime” le cose si fanno più facili — per me la sezione sulle vittime è stata durissima — e si imparano anche un sacco di cose se si è curiosi di giustizia.
La domanda con cui rimango su V13 è: non è che non abbiamo capito un cazzo? Se chi ha commesso i fatti del Bataclan si riteneva un prigioniero politico, se erano andati nel Califfato allo scopo di creare una teocrazia, se dal loro punto di vista il Bataclan era un attacco da taglione “causato” da decenni di bombe sulla Siria, l’Afghanistan, l’Iraq… Come staremo messi tra vent’anni?
I figli del Califfato ormai caduto, bambini orfani di padre che stanno crescendo nei campi profughi oggi, come vedranno la situazione tra 15, 20 anni? E cosa implicherà, la loro visione?
Non ho una risposta.
Ma credo sia una domanda fondamentale.
Dopo vi passo due podcast in tema.
Nueve lunas, Gabriela Wiener. Per quando lo tradurranno, o se leggete l’inglese, c’è già. Si parla di sesso, migrazione, Barcellona, maternità, gravidanza, amicizia. Il mood, in traduzione mia:
“Come faremo con un figlio lontano dal Perù? (…) E se tutto questo non lo convincerà, gli diremo che potrà sempre bere caffè e mangiare croissant in una terrazza piena e accarezzata dal sole di mezzogiorno, a un’ora in cui gli altri si fanno il culo. E che legga Henry Miller. Figlio mio: l’Europa è il luogo migliore nel quale un latinoamericano possa morire di fame e bere vino buono. Benvenuto.”
Il migliore antidoto all’immagine di maternità in cui sguazziamo in genere, che fa male alle madri, e mette pressione sui bambini (fun fact: ho lavorato all’asilo 4 anni. Una volta faccio un numero sulle maternità sovversive.)
Il consiglio di archivio del mese è La breve favolosa vita di Oscar Wao, di Junot Díaz, da Santo Domingo al New Jersey, per cambiare un attimo zona dai consigli del mese che sono molto mediorientali.
L’ho letto una cosa come dieci anni fa, e mi ricordo solo che mi era piaciuto molto. L’ha tradotto quella ganza di Silvia Pareschi, che ne dice questo:
“È un libro che colpisce, perché apre tantissimi mondi e punti di vista attraverso la lingua e attraverso l’immaginario. Uno dei migliori libri degli ultimi trent’anni”
Potete leggere il resto del suo illustre parere qui.
Un altro libro da rileggere ora che sono anziana e bazzico di più il mondo ispanofono (perché credo che lo capirei meglio.)
Mi ricordo principalmente che mi era piaciuto che alternasse le risate e lo smadonnare.
Un po’ come la vita, insomma.
“Non sono un mostro”: Sam, Shamima e Nasreen
+ una tipa che a me sembra mostruosa assai
Allora, in pratica c’è questo giornalista bravissimo della BBC che si chiama Josh Baker e che ha fatto due stagioni di questo podcast chiamato I am not a Monster;
intervistando nella prima stagione Sam, una donna nordamericana finita a vivere nel Califfato con il marito; nella seconda la famosa Shamima Begum, l’adolescente britannica partita a 15 anni per il Califfato con delle amiche, ora apolide in un campo profughi insieme ad altri ex membri di ISIS.
Una gita in salute, direte voi, e boh. Si comincia col sentirsi escluse, e si finisce a partorire quattro o cinque volte prima dei 18, vivendo una battaglia epocale dal di dentro.
Entrambe le serie sono interessanti, ma in particolare lo è la prima perché ci racconta molto anche del quotidiano del Califfato.
Cioè quel posto allucinante in mano all’ISIS da cui erano passati molti degli attentatori del Bataclan di cui parlava Carrère in V13, di cui vi dicevo prima.
Se non parlate l’inglese, ma il francese sì, c’è anche questo: La Cage di Arte, in 4 episodi, dove è invece è Nessrine, a raccontare.
Io non l’ho ancora sentito, perché addirittura il mio stomaco di amianto ha dei limiti, però volevo mettervi un’alternativa al podcast in inglese.
Un podcast che non ci porta lontano, ma sicuramente ci porta nel buio
In italiano, fuori tema, perché si parla di Italia, anzi, di Lombardia.
Shalom, le terapeute di Cristo, è stato per me uno dei podcast più raggelanti dell’ultimo anno.
Tipo, San Patrignano ma in salsa religiosa, e ancora più inquietante perché c’è di mezzo la religione, per mezzo della cristoterapia. Sì, davvero, raga. La gente lì dentro ci finisce in mille modi, e se ci entra, non si sa bene come ne esce, e lì dentro succede di tutto.
C’è stato un processo anni fa che io mi ero persa perché ero via, e che è finito con assoluzioni e condanne da niente, con un PM, tale Ambrogio Cassiani, che parla delle persone dentro la comunità come di disadattati, quindi tutto sommato non-persone che un po’ se lo meritano, di spingere una carriola piena di pietre in tondo per ore, essere picchiate e umiliate e torturate, perché non sono funzionali e produttive per la nostra società performativa.
La fondatrice, la non-suora “Suor” Rosalina, a me fa paura assai.
Sembra la versione nostrana di Richelieu: un sacco di amici nei posti giusti, l’aria da persona senza dubbi di chi crede di aver sempre ragione.
Quando la sentirete parlare al telefono per minacciare i giornalisti, nel podcast, capirete cosa intendo. Piuttosto terrorizzante.
Spazio logistico-sentimentale
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E se invece leggi via mail, come la maggior parte di voi fanno (bravi, meno distrazioni) se mi rispondete e mi raccontate cosa vi ha colpito, farete la mia gioia.
Aspetto le tue epistole.
Abbiamo finito
Andate in pace,
E preparatevi al Natale con tanti libri. Può essere una roba difficile, buia, fredda, famiglio-centrica e prescrittiva, spesso dolorosa per chi non ha proprio una situazione da Mulino Bianco.
Scappate coi libri, se serve.
A me aiuta sempre, spero anche a voi 💙
Un abbraccio.
Pao