Vene aperte, saccheggio e dépaysement
Di voli standby, di depredazioni, e di come libertà e spaesamento siano cugini
Buongiorno amiguis,
Sono tornata a Buenos Aires.
Vi invito nuovamente a seguire CatramePod, dove la scorsa settimana ho invitato l’amica di
a parlare dei libri che l'hanno resa se stessa, e molto altro, per il primo episodio di quella che spero sarà una serie di chiacchierate di ispirazione libraria e non solo: I Libri delle Altre. O Degli Altri, a seconda di chi verrà!Riflessioni e libri:
Ma immaginatevi se sti colonizzatori spagnoli non ammazzavano tuttə, e del perché non ho messo piede in Sudamerica prima di molto tardi
I libri del mese, da Trinidad, dall’Uruguay e… dalle Cinque Terre. Lol. Sì, davvero
Logistica: vediamoci su The Mindful Speaker, lavoriamo insieme, link ai miei podcast/interviste, ai miei social, a Notes, all’archivio
Eliane Brum dal Brasile ci dice del corpo del bosco, e ci spiega perché “amazzonizzarci”
Tempo di lettura: 13 minuti circa, escludendo link e manifesto.
Saltare i pezzi o leggere in disordine o a puntate è cosa buona, giusta, e cervello-friendly.
Spezzettate, andate, tornate. Liberamente.
Catrame fa quello che le pare, tipo registrare i podcast nei bar perché a casa c’è l’elettricista. E voi con lei.
1. Voli standby, occidentalizzazioni forzate, dépaysement, culture scomparse
Sono riuscita a salire in aereo per il rotto della cuffia grazie a una persona che mi vuole bene, e che soprattutto ha presente che Buenos Aires è carissimo e ha deciso di aiutarmi per la trasferta, nel nome della famiglia d’acqua.
E quindi insomma, dopo una sveglia alle 4, il personale di terra più indisponente ever (provate a indovinare con che compagnia) mi ha detto che l'aereo aveva fatto overbooking.
Io: ma nel sistema non lo diceva!
Loro: *spallucce* *morti dentro*
Io: O_____O faccio piano b, c, d, dicendomi che l'importante è partire a una certa
Fuori campo, l’amico-fratello capocabina che mi ha aiutato con sta cosa del volo: "ma che cazzo di modo di lavorare è?"
Fuori campo, Martín: "io vado a dormire, fammi sapere cosa succede, io pure sto in standby per venirti a prendere. Sicuramente non è nel sistema l'informazione perché sfruttano uno stagista che poi fa male il lavoro 😅"
Fuori campo, mia madre, che da giovane è arrivata fino a Hong Kong e Salvador de Bahía, e adesso non esce dal quartiere che sotto minaccia o per necessità, e non vola dal 2008: "ma se hai fatto check-in non garantisce nulla, quindi?"
No, mater.
Niente.
Nessuna certezza.
È tutto un mondo, questo dei voli standby.
Paghi poco, ma non hai certezza di partire praticamente finché il gate non chiude.
Una volta l’amico Lufthansa di cui sopra, venuto a trovarmi a Bangkok, ha dovuto fare quattro tentativi per salire: conviene molto al portafoglio, ma non necessariamente al cuore, se si ha un temperamento ansioso. Alla fine era riuscito a partire andando a Vienna, perché andare a Milano impossibile.
È un sistema che ti apre un mondo fantasmagorico che mioddio io lo scopro solo ora a quarant'anni, questo dei voli standby: chissà che danni avrei fatto se mi avessero dato prima l'opportunità di arrivare che so, a Tokyo per €106. Sarei stata ancora più vagabonda di quanto non sia stata già.
Mi dico che forse è meglio così.
Andare verso il Sudamerica, comunque, è molto meno romantico che andare verso l'Asia, almeno per me. O meglio: forse la questione è che è meno esotico: usiamola, questa parola tremenda. È adatta — ora mi spiego.
Vai più lontano, ma vai più vicino.
Mi spiego.
Pure se la mappa ci fosse (questi pulciari non hanno messo la mappa per seguire la rotta, fondamentale per noi nerd della geografia) la maggior parte del volo la passi comunque sopra l'oceano. Non c'è da stare a immaginarsi nulla tranne una enorme distesa di blu punteggiata di cargo, fino a che non arriva il verde del Brasile tropicale lì sotto, quella distesa pazzesca che sono Amazzonia e Pantanal.
Quindi, da un lato questo: sotto di te non c'è massa abitata da umani, a parte i cargo, e questo non nutre la tua fantasia che certo, ama l'oceano, certo, ma vuoi mettere un umano che fa e dice cose che non capisci ma che hanno una logica lì dove sei?
Dall'altro, la varietà umana di un volo verso Buenos Aires, ecco, diciamo... Non è proprio varia. Ci sono un sacco di argentinə che tornano a casa: nonni, zii, qualche spagnolɜ in vacanza, backpacker ventenni, pronti a iniziare il Gringo Trail. Tutti (o quasi) bianchi. Tutti (o quasi) che parlano una lingua che parli e capisci al 99% e che, come raccontavo altrove, è casa, un po'.
Gli annunci dell'aereo li capisci. La colazione della linea aerea era un panino al prosciutto. Il pranzo? Ravioli al tartufo. Spezie? Non pervenute, a parte il pepe.
Insomma, tutto questo mi ha fatto ricordare la ragione per cui io, che comunque amo viaggiare, non sono arrivata in Sudamerica che a trent'anni e comunque non per iniziativa mia, ma del mio ex: perché mi sembrava troppo facile. Troppo occidentale, troppo decodificabile. In parte per ignoranza mia. In parte perché… per certi versi lo è. Per ragioni storiche.
Valga come riassunto la reazione della me di trent'anni che, ad Asunción Paraguay, al primo giorno sul continente, invitati da un couchsurfer di quelle parti che avevamo ospitato a Vienna, mi sono trovata davanti a una chiesa barocca, e il mio commento a caldo è stato:
700€ solo andata, un milione di ore d'aereo, e ancora non mi sono liberata dei santi con le aureole? Davvero ho davanti la chiesa di San Antonio? Ammazza sti spagnoli, tutto, hanno distrutto, ma te lo immagini, Michael, se arrivavamo qua e la gente parlava ancora guaraní e aveva la religione sua? Cioè magari ci avrebbero preso a calci nel culo, ma magari no, non in questo secolo. Ma te lo immagini, se non fossero arrivati mai gli spagnoli con ste cazzo di immaginette dei santi?
Michael, che aveva studiato cinese e passato i suoi vent'anni a Shanghai, capiva benissimo; ma era finalmente in sto continente che voleva vedere da anni, quindi gli andavano bene pure i santi con l'aureola. E comunque, non parlava una parola di spagnolo, quindi per lui un po’ di dėpaysement c'era eccome.
Mi ricordo bene il mio disappunto.
Che però era stato anche sorpresa quando, lavorando in ostello a Corrientes, era venuto fuori il tema dell'arte di Modigliani, e quando stavo per spiegare chi fosse Modigliani (in molta Asia dovresti) il volontario argentino con cui ero mi aveva detto ridendo, “ma lo so chi è, Modigliani. Perché... Questa fetta di mondo è stata resa occidente. Seicento anni fa. Sterminando persone e culture.” E poi, mi aveva messo in mano il libro di Eduardo Galeano (ne parlo più giù) che io, per ignoranza mia su tutto ciò che era Sudamerica, non conoscevo.
Non sapevo molto dell’America questa qui. Stavo imparando lo spagnolo quasi da zero in quel momento; all’università avevo letto tanto di Asia meridionale, di Nordafrica e di Africa occidentale. Il Sudamerica? Non studiavo spagnolo, quindi niente. l'America Latina era amata da quelli dei centri sociali, che andavano veramente a fare le vacanze in Chiapas a fare i volontari in cooperativa, o cose così (ne ho conosciuti vari all'università e fuori, erano legione vent’anni fa. Ora non so)
Come persona che con le lingue ci vive, che si interroga, che le usa per avere lenti plurali sul mondo,
avevo passato tutte le prime settimane in Paraguay e nord argentino a pensare alle culture perdute con l'arrivo degli spagnoli, a chiedermi,
Come sarebbe stato se fosse andata diversamente?
Se fosse rimasto un mosaico linguistico come lo è l'Asia? E soprattutto, perché in Asia le colonizzazioni hanno sì danneggiato ma non azzerato o quasi le lingue e culture indigene, e qui sì? (Questa è una domanda sincera e non retorica: se avete riferimenti da studiare o idee, vi prego, ditemi pure. Ho qualche idea, ma mai ho la presunzione di non poter imparare di più.)
Per me andare lontano aveva sempre voluto dire andare verso est: dove non capisco un cazzo. Dove a volte sono financo analfabeta.
Dove devi reimparare a comportarti, dove a volte per ottenere qualcosa devi fare esattamente il contrario di quello che faresti in Italia.
Andare verso est per me aveva significato cambiare aereo a Istanbul, o al Cairo, o a Muscat, a Doha. Sui cartelloni appaiono destinazioni come Teheran, Mumbai, Ulan Bator, Taipei, Singapore, Bangkok, Tokyo, Kabul, Baghdad, Hong Kong.
Nei terminal appaiono le persone vestite di bianco, che a una certa capisci che sono pellegrini diretti alla Mecca. Il tuo campo visivo si punteggia dei colori brillanti dei turbanti degli uomini Sikh, dei sari delle donne del subcontinente indiano, i viaggiatori giapponesi educatissimi pure alla trentesima ora di viaggio, gli sciami rumorosi di turisti cinesi. I datteri e il çay nei negozi dell'aeroporto.
Insomma, ecco, io ogni volta che vado verso est sento gratitudine per la diversità del mondo, e incomprensione completa per chi ne è intimorito invece che affascinato.
L'Asia ti dice, nella migliore tradizione senza dirtelo direttamente: pensavi di essere un'adulta di mondo eh? E invece no. Non sai un cazzo.
Ed ecco, questo è quello che io amo del viaggiare: mi mantiene umile.
E questa è una cosa ottima.
Io mi ricordo ancora il vertiginoso contrasto da Città del Messico a Taipei, quindici anni fa. Michael parlava cinese, io no, quindi sono uscita dal terminal e ho dichiarato tonante e felice: NON SO LEGGERE UNA MAZZA! EVVIVA!
Ovviamente non sto dicendo che andare verso la Latinoamerica non sia bello: figuriamoci. Non è cosa di bello o brutto. È questione che per ragioni storiche, per ragioni di storia colonialista, una persona europea in Latinoamerica raramente sarà incapace di leggere i cartelli. Se quella persona europea è anche italiana, è molto probabile che con un puzzle di itañol possa anche capire molto di quello che gli viene detto, e rispondere.
Mi rendo conto che per molte persone questo sia rassicurante. Sicuramente è rilassante, forse, a livello cognitivo e anche emotivo e per il cervello (letteralmente). È anche quello che mi ha tenuto via da Australia e Nuova Zelanda fino ad ora: volare tantissime ore, arrivare, e... capire troppo. Che poi vabbè: ha anche un lato positivo, questo. Fai un oi dialogoi notevole, parli con il professore universitario come con il venditore di empanadas — in Asia la comunicazione è molto più ostica.

Il bello del viaggiare sola, lontano, oltre che la libertà ineguagliata del decidere ogni giorno cosa fare di te stessa (anche niente) è quanto finisci col conoscere te stessa:
Come reagirai al dépaysement, agli imprevisti, alle incomprensioni, ai momenti in cui dici ommioddio, sono un puntino perduto là fuori nel mondo, non mi conosce nessuno, non conosco nessuno, mi viene da piangere, mi sento sola, oddio però sono libera davvero, che regalo, signora mia.
Sentirai libertà o timore?
Forse entrambe le cose?
Perché la libertà, parola violata che io amo (non nel senso neoliberista di fare quel cazzo che ti pare a prescindere dagli altri – lo puntualizzo, visti i tempi, visto che scrivo dall’Argentina in vendita di Milei, che ha sequestrato una parola bella come libertà per poi truffare i suoi stessi cittadini e oltre) è impegnativa.
È impegnativo, essere libere.
Ogni giorno implica scelte.
E ogni scelta… È un potenziale errore, dal quale potrai scegliere di imparare qualcosa, o per il quale potrai anche, invece condannarti.
Vale per i viaggi, vale per il lavoro, vale per la vita.
Per te che leggi… cos'è la libertà?
Manifesto
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Come diceva Pepe Mujica, ex prigioniero politico e presidente dell’Uruguay, i soldi sono il tempo di vita che c’è dietro ad essi. Quindi, grazie del vostro tempo.
2. I libri del mese
Premetto: Giuro che gli ENNENNI non mi pagano. È solo che scelgono cose che si confanno alla mia sensibilità.
Hungry Ghosts / Anime Insaziabili, Kevin Jared Hosein, NN Editore. Su le mani se sapevate che a Trinidad, nei Caraibi, vivono molte persone di origine indiana e religione hindú. Lo sapevate? Bene. E se non lo sapevate, potrete leggere qui di questa minoranza discriminata, in un paese di cui non si parla mai. Tra il thriller e il fantastico, un viaggio nel tempo e nello spazio, per venti euro di libro: ragazze e donne che devono trovare la propria strada, uomini che prendono ordini da statue di dee cinesi in una grotta, orchi in forma di padri-padroni pirati dei Caraibi, trauma ereditato ovunque, e un finale che mi ha lasciato senza fiato e con lo stomaco chiuso. L’autore si è rifatto ai racconti di suo padre e di suo nonno, e si vede, perché il senso del luogo è fortissimo. Ci mette un po’ a decollare, ma poi è un crescendo dove dici DAI MA NO, (almeno io l'ho detto mille volte). Da consumarsi, se possibile, in sedute di lettura relativamente lunghe per aumentare l’immersione. Io ho letto lentissima la prima metà, e divorato in tre giorni la seconda. KABOOM.
Splendeva l’Innocenza, Roberto Camurri, NN Editore. Da Trinidad a Monterosso. Ma come, uno scrittore italiano? Sì. Come con Marta Barone qualche mese fa. Perché… se hai vissuto il 40% della tua vita via dal paese di cui hai il passaporto, anche le storie di quel paese diventano qualcosa di diverso, a modo loro. Tre amici cresciuti insieme, modi diversi di essere uomo, di superare esperienze traumatiche… o no. Si accenna anche al G8 di Genova, che se hai l’età mia e di Camurri, è stato parte di quei mesi tra l’estate e l’11 settembre 2001 in cui avevamo tipo 18 anni, e che hanno cambiato l’atmosfera del nostro mondo in pochissimo tempo. Camurri descrive un’Italia di provincia che è la realtà di molte persone — che per questo si rivedono nelle sue storie, di grande successo — e che per me, che invece la provincia non l’ho mai vissuta, sono affascinanti per il modo in cui raccontano un modo di esistere che a me è alieno. Parla anche di amicizia dal punto di vista maschile, un altro tema che mi incuriosisce molto, e che mi piace vedere trattato da una persona con la sensibilità di Camu.
Il consiglio d'archivio è, appunto, il libro di Eduardo Galeano, Le Vene Aperte dell'America Latina, È pesante? Molto. Perché lo è la storia di cui parla. Se ritenete di essere interessati alla Latinoamerica e al suo mosaico di culture plurali, dovete leggere questo libro, uscito inizialmente a Montevideo, Uruguay, nel 1971 — giusto due anni prima del golpe militare uruguayo. È un testo datato; tuttavia, se avete interesse per questa regione del mondo, un’occhiata gliela darei.
3. Logistica: impara ad imparare con The Mindful Speaker, lavorare insieme, Spotify, link ai miei podcast/interviste, a Instagram e LinkedIn, a Notes, all’archivio
Iscrivetevi alla mia newsletter in inglese, e avrete già una pratica di lettura di suo. Quando non scrivo qui, infatti, pratico il mio lavoro di coach linguistica certificata ICF. Su The Mindful Speaker troverai: apprendimento linguistico, consigli di ascolto e lettura. Prompt per parlare o scrivere, citazioni per riflettere sul processo di apprendimento per iniziare a prendere controllo del vostro sviluppo linguistico e interculturale, gratis, in autogestione. Ci vediamo lì?
Il Joy Luck Café è il mio piccolo spazio di gruppo dove parlare inglese con persone pucci, live due volte al mese e su Telegram e un forum privato il resto del tempo. Se vuoi leggere come funge, dai un’occhiata qui. Qui un video che ho registrato, io che piuttosto che i video mi deflagro, per immortalare i livelli di gioia dopo un meetup del Café.
Se vuoi scoprire se il coaching 1:1 con me possa fare per te, parliamone qui, con piacere! Ho appena iniziato con due nuovi clienti-cuori al momento e ho una persona “in coda”; ma siccome io sono molto per la comunicazione lenta e per i numeri molto ridotti, tu inizia a scrivermi ora, senza impegno. Ora che abbiamo fatto tutte le chiacchierate e analisi del caso e si sarà liberato un posto… avrai priorità!
Su vostra richiesta, Catrame è su Spotify. Ora anche con Il Tinello di Perpignan in collaborazione con
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Se vuoi ascoltare i miei podcast e interviste su lingue e viaggio in inglese, francese e italiano, i link sono qui.
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Qui l’archivio di Catrame :)
4. Il corpo del bosco
“La violación del cuerpo del bosque es lo mismo que la violación del cuerpo de las mujeres. Invadir, colonizar, vaciar, convertir en objetos o mercancías: esta es la lógica que ha llevado y sigue llevando al colapso de la vida en la Tierra.”
— Eliane Brum
Traduco: La violenza fatta al corpo del bosco è la stessa violazione del corpo delle donne. Invadere, colonizzare, svuotare, trasformare in oggetti o merci: questa è la logica che ha portato e continua a portare al collasso la vita sulla Terra.
Eliane Brum è una giornalista brasiliana che vive e scrive dal cuore dell’Amazzonia. Mi è sembrato in tema con la devastazione culturale che mi saltò all'occhio la prima volta che misi piede qui. Il suo ultimo libro, Amazzonia, Viaggio al centro del mondo, è uscito in Italia presso Sellerio, se ne parla qui.
Vi mando un abbraccio grande. A tra due settimane.
Come sempre, grazie di esserci 🧿
Pao