Ben ritrovate e ritrovati, compari e comma’.
Vi faccio compagnia col caffè del mattino.
Sto immaginando un cornetto al pistacchio di quelli che ti danno in Sicilia. Grande come mezza faccia. Stillante crema al pistacchio. Esplosivo al primo morso.
Carə fattori e fattrici di cornetti siciliani — ma anche di Napoli e dintorni: vi prego, emigrate di più a Barcellona, e salvateci dai cornetti secchi allo strutto di queste parti. Io vengo.
Come infatti vado da due francesi che anche loro mi stanno salvando dallo strutto: attraverso la città solo per loro e la loro chocolatine che sono una delle cose più meravigliose del mondo. Pure a 30 minuti di bici, e dovendo fendere le orde estive di turisti alla Sagrada Familia. Li cito non perché mi danno soldi o pane gratis, ma perché se vivete a Barcellona e dintorni, andare da loro è fare un favore a voi stess3.
Riflessioni e link:
Ciao nonna. Nome in codice, Sì Sergente Istruttore
I libri del mese, da Cuba e Giappone, via Canada e Francia
Una cosa da ascoltare: viaggiare da sola, in un corpo femmina
Fuori da qui: LinkedIn, materiali gratuiti per voi, Instagram, il link a Notes, il link all’archivio
Una citazione da un libro di cui forse vi dovrò parlare, anche se non viene da lontano né è scritto da gente che dici CHI?!?
Tempo di lettura: 16 minuti circa, ma
Saltare i pezzi o leggere in disordine o a puntate è cosa buona, giusta, e cervello-friendly. Sempre.
1. Essere donna oggi
(Sì, è davvero una citazione di Elio e le Storie Tese.) Non penserete mica che io riesca ad essere del tutto seria.
Se non riuscissi a trovare una briciola di comico pure nelle situazioni di merda, come dico sempre, avrei fatto una brutta fine da tempo.
Quel che segue alla foto l’ho scritto intorno al 20 giugno.
Per gli ultimi tre mesi mi sono sentita come un albero della gomma: la vitalità, la creatività, la voglia di stare con gli altri e l’allegria che mi scivolavano fuori, lente e gelatinose come lattice, da un taglio, tipo lì, nel fianco.
Il giorno del funerale e i due giorni seguenti ho dormito tantissime ore.
Era anche il solstizio d’estate, e qualcosa è successo in quel fine settimana, perché dopo di esso, ho come sentito un motorino, dentro, che si riavviava,
Come se qualcuno avesse tirato la bobina.
Sapete la bobina del motore fuoribordo? Così.
Dopo tutto maggio e molto giugno passati in un bozzolo di melancolia e shock culturale da ritorno, c’è stata la mazzata finale, che però ha anche posto una fine al tutto, tipo mossa di Ken Shiro che dopotregiornimuori.
Sento il cortisolo lasciare il mio corpo dopo mesi di costante presenza, e adesso che è successo quel che doveva succedere, il mio cervello si deve riabituare a non avere la paura della perdita, della corsa in aeroporto, costantemente addosso.
Vi sto scrivendo dall'aereo.
Spesse volte, per gli emigrati, l'amore passa dai corridoi degli aeroporti, dalle ore volate, dai numeri di volo saputi a memoria.
Io sono in aereo, di nuovo, per l'ennesima volta — con po' di sindrome di Stoccolma — perché stamattina alle sei mia nonna è, infine, mancata. Morta. Per essere precisa.
Dico infine non perché sono stronza e sono contenta quando la gente muore, ma perché come grande fan della vita, del movimento, della linfa, e della vitalità,
spezza il cuore vedere le persone, anche anziane, costrette a letto, con gli organi che perdono le funzioni poco a poco, sentendo dolore.
Ho imparato che un termine medico desueto per descrivere questa roba è marasma senile.
Mi sembra molto efficace.
A volte la fine può essere liberazione dalla sofferenza, pure se non la senti, o la senti meno, grazie alle medicine.
Nonna ha lasciato il suo corpo alle sei del mattino di un giorno di pioggia, un giorno in cui io mi ero svegliata lucidissima cinque minuti prima che lei morisse, ed ero rimasta ad ascoltare il rumore della pioggia sulla tettoia del cortile.
Naturalmente una parte di me si è chiesta, poche ore dopo, al ricevere la notizia, se sia stato il suo spirito, finalmente libero, a svegliarmi dicendo, io sto andando. Fai la brava.
Buon vento, cara nonna, e grazie di tutto. Peccato non averti potuto conoscere meglio.
Ma il tuo lato della famiglia, Santi, è quello nordico, granitico, di poche parole, e molti atti, quello che anche io mi porto dentro, ma in gene recessivo, in termini di fattività e concretezza, ora meno che da giovane, che da grande sto diventando molto più inconcludente.
Il gene nordico ce l’ho, sì, ma non in termini di taciturnità: a me le cose piace sviscerarle, parlarne, scriverne, provare a porre ordine con le parole, come faccio qui. E questa cosa a te non piaceva granché. Era un tratto lontano dal tuo modo di essere, che era un po' (molto) come quello lì, quel tizio delle Otto Montagne di Cognetti, Berio.
Io ero la tua unica nipote femmina, che però non voleva essere femmina come lo intendevi tu, perché già a undici anni, avevo la netta sensazione di stare meglio fuori casa che dentro, e per te, essere femmina era essere in casa. La tasa, la piasa, la staga in casa; cioè, che taccia, che piaccia, e che stia in casa, dicevano in Veneto, un po’ più in là da dove venivi tu.
Mi dicevi, non esattamente come un complimento: sei come tua nonna, hai le sue stesse mani, riferendoti a nonna romana, la mamma di mio padre, quella con le mani morbide, borghesi. Laureata in chimica; con la patente di guida già negli anni 40; sportiva; che fumava, parlava il francese e l'inglese; quella che era scappata da sola a Caracas, per un anno, una volta vedova, lasciando in custodia mio padre e mio zio alla mia bisnonna, e che poi era tornata senza mai raccontare a nessuno che cazzo avesse fatto, durante quell’anno a Caracas. C’erano solo i biglietti dei suoi spostamenti per ricordo.
Una pessima madre, dunque, ai tuoi occhi, una pessima donna. Non aiutava che mio padre ci si fosse scannato per molta della sua vita, perché si sa, tra teste dure si cozza.
Pure tu eri testa dura, però, Santi: la mia è stata un'infanzia di cura e cazziatoni, mentre mia madre era al lavoro. Non era per te, quella storia di essere una dolce vecchietta. Il mood era quello del sergente istruttore di Full Metal Jacket. A maggior ragione quando non si ubbidiva agli ordini. Sicuramente, tu i confini ce li avevi chiarissimi.
Parenting dolce una sega, e nemmeno nonning.
Io ero la nipote femmina che non voleva essere femmina, non voleva imparare né a cucire e neanche a ricamare; che voleva la bicicletta; che dai 14 anni in poi coglieva tutte le occasioni per andare lontano, invece che rimanere lì vicino a te come si era sempre fatto nei secoli dei secoli; che parlava lingue che non capivi, leggeva cose che non seguivi, inseguiva le fricchettone tedesche con gli zaini e le gambe non depilate per indicare loro dov’era l’ostello che stavano cercando, al grido di anche io voglio fare come loro da grande; che faceva cose che non comprendevi, che inseguiva apertamente il piacere e la gioia, e insieme al padre bizzarro che era stato scelto incomprensibilmente da tua figlia piccola,
respingeva la sofferenza, l'austerità, e tutte quelle cose cattoliche che costituiscono quella cultura, che è ben più che una religione, che ci passano in Italia insieme al latte materno, e che ci buttano giù tantissimo se non le riconosciamo, almeno.
Ancora di più se non le decostruiamo.
Con la dinamite.
Che è quello che ho tentato, e tento, di fare io.
Inutile dire che, se già penso di mio al tempo che passa, perché credo che sia una cosa che si percepisce sempre più invecchiando / crescendo, in questi mesi ci ho pensato ancora di più.
E il risultato è sempre lo stesso, come ogni incontro con queste situazioni che ho avuto, fin da quando ero giovanetta:
io, più di tutto, voglio essere sana.
E con quella salute, voglio essere viva e felice.
E libera.
E mangiarmi il mondo.
Vederlo e gustarlo il più possibile.
Perché la vita, come si dice in Spagna, sono due giorni, e rischiano di essere lavorativi.
E niente.
Adesso ovviamente c'è da gestire il dopo, che per me sarà più semplice perché perdere una nonna non è come perdere una mamma. Ma quella, in realtà, è roba che deve gestire ognuno per sé, come tutte le robe difficili.
L'unico modo di uscire davvero da qualcosa è attraversarlo. E nessun altro può farlo per noi. Gli altri, al massimo, ci possono tenere la mano.
Ma la digestione delle cose difficili, purtroppo, la deve fare ognuno per sé.
Io torno a sentire il mio podcast, e chiudo gli occhi perché come se non bastasse abbiamo un'ora e mezza di ritardo… su un volo di un'ora e dieci. L'aviazione in estate. Se mi fossi mossa in autobus, sarei già arrivata a Montpellier.
2. I libri del mese
Uno che sarà tradotto presto, un’autrice-rifugio, e un saggio di archivio
El Cielo de la Selva, di Elaine Vilar Madruga, da Cuba con furore. Ve lo metto qua perché 1) magari qualche Catramell3 legge in spagnolo 2) mi è piaciuto così tanto che ho scritto all’autrice su Instagràm ed è venuto fuori che ella è un cuore che se la chiacchiera con chi la legge, e nella chiacchierata, mi ha detto che la sua agente ha quasi concluso la trattativa per i diritti per l’Italia, quindi presto arriverà anche da voi. Segnatevi il nome dell’autrice, e state accort3, che è un libro della madonna, in un certo senso un po’ parte di questa ondata latina, incredibile, di storie cupissime in luoghi rigogliosi, scritti da voci di donne poderose.
C’è la selva che protegge le persone da narcos e militari a Cuba, che è un personaggio lei stessa. E c’è che la selva, in cambio di questa protezione, vuole alimentarsi di bambini umani. E ci sono donne che partoriscono e basta tutta la vita per nutrire la selva, donne che rifiutano di farlo e trovano la libertà correndo come cagne; cori greci di bambini che sanno tutto; bambine che diventano malefiche per conservare le proprie vite. Una roba incredibile, io l’ho divorato nonostante sia stato difficile da leggere per me, perché lo spagnolo del Caribe, io non lo mastico proprio.
Chi è Morto Alzi La Mano (Debout Les Morts), di Fred Vargas. Dice: vabbè, Pa’, graziealcazzo, Fred Vargas la conoscono tutt3, proprio. Però: intanto, non si deve mai partire dal principio che tutt3 sappiano qualcosa, perché quasi mai è così.
Secondo, è estate e in estate quanto cazzarola è bello essere al mare zozz3 di sale, o in campagna in mezzo alle cicale, o su un cocuzzolo a mangiare pane e salame dopo aver camminato 4 ore per arrivarci, o su un treno o bus a lunga percorrenza, e fare tutte queste cose con un giallo serio in mano?
Ecco, per me Fred Vargas è una coperta di Linus umana. A Marsiglia ho comprato il suo ultimo libro, nonostante mi dicano che non sia granché. Quindi intanto, se non l’avete mai letta, iniziate da qui. Più che le storie, di Fred ad attirarmi è il mondo lunare che crea, sono i suoi personaggi stralunati. Solo a pensarci per scrivervelo qui mi sento già meglio. Ascoltate una cretina, se non avete mai letto nulla, leggetela subito. Vi lascio anche la bibliografia in ordine, perché questa donna ha scritto un botto di roba, per orientarvi se non ne sapete niente. Sono tutti tradotti in italiano.
Autostop con Buddha (Hitching rides with Buddha o Hokkaido Highway Blues), di Will Ferguson. Prendete un canadese, e mettetelo a fare autostop in Giappone, da sud a nord, seguendo la fioritura dei ciliegi, facendo figuracce da gaijin ignorante, e osservando chi e cosa gli è intorno.
Io l’avrò letto 15 anni fa, ma mi ricordo che mi era sembrato un po’ cagone, lui, con questa gente che alla fine gli stava dando passaggi, aiutandolo. Allo stesso tempo, in altri momenti c’era molta poesia. Perché ve lo consiglio, quindi, se la mia opinione è mista? Perché comunque il percorso che ha fatto e la descrizione che ne fa sono interessanti, abbastanza da ricordarmelo più di dieci anni dopo. Se questa estate state a casa, è un buon modo di andare lontano leggendo, anche nel tempo, visto che è datato: credo che anche il Giappone sia cambiato molto, da allora.
In genere, quando leggo cose scritte prima del digitale ovunque, per me hanno una qualità analogica e rilassante che mi piace. Forse perché mi ricorda i miei viaggi fino a dieci anni fa, quando anche io ho preso il cazzodismartphone, dopo anni di resistenze dicendo “no poi leggo tantissimo meno se ho sempre internet” (avevo ragione, sono passata da 52+ a circa 40 libri l'anno.)
Manifesto-carosello
Due volte al mese, il mio obiettivo è aiutarvi ad aumentare la diversità culturale presente nelle vostre vite.
È un modo diverso di fare politica.
Se il diverso lo ascolti, lo conosci, lo leggi, tenti di capirlo, da una posizione di apertura e curiosità, apprendendo dai e dei modi altrui di stare al mondo, è più difficile essere chiusi e bigotti.
E non per forza questa apertura la si deve cercare attraverso il viaggio, che non è alla portata di tutti.
La cultura può permettere di aprirsi anche a chi non può o non vuole muoversi.
Se volete sostenere il mio lavoro, e aiutarmi a pagare gli abbonamenti che pago per leggere tutto quello che leggo, e selezionarlo per voi, potete farlo con una donazione libera una tantum su PayPal, cliccando sul bottone qui sotto.
3. Da ascoltare: un podcast sul viaggiare da sola
Siham Mekrane io l’ho conosciuta per puro caso nella mia vita pre-Catrame, facendo una cosa molto Catrame: consigliandole un libro, nello specifico, un libro di Elif Şafak di cui stranamente non vi ho ancora parlato. Naturalmente non vi dico quale, me lo tengo in canna per un’altra volta.
Siham è una ragazza giovane, acuta, anche lei emigrata, nel suo caso dall'Italia prima a Montpellier e poi a Parigi, e niente: siamo diventate amiche di penna e ci siamo pure incontrate di persona una volta in un dicembre gelido a Montpellier, tipo gli unici due giorni l’anno che fa freddo a Montpellier. Ovviamente.
Lei parla spesso di come passare il tempo con se stesse sia una cosa che per molte persone già è difficile nel quotidiano, a maggior ragione quando si decide di andare in vacanza. E da lì, siccome io, per lo stesso motivo, con le mie amiche da anni ho in piedi questo gruppo per donne che vogliono viaggiare da sole (che teniamo in piedi nonostante facebook stia alle cozze perché belli tutti gli altri social, ma nessuno ha i gruppi come li ha facciacoso), ovviamente ci è venuta subito l’idea di parlarne nel suo podcast.
Quindi, ritiro fuori dal cappello questi link, che potrebbero essere utili, visto che è estate, a tutte quelle persone che sono curiose del viaggiare da sole, ma hanno paura per varie ragioni e temono di partire da sole — perché non se ne credono capaci, perché oddio santo ma davvero devo stare da sola per ore ed ore? E se mi annoio?, perché tutt3 dicono ma sei pazza, con tutti i terribili pericoli che ci sono là fuori? Che ci sono. Però se adesso non viviamo più perché ci sono i pericoli, tanto vale nemmeno venire al mondo, suvvia.
Che poi, le cose pericolose o difficili, se devono succederti, ti succedono pure nel tuo quartiere. A me una volta a Milano un tizio in metro ha tirato un mozzicone acceso nei capelli, io l'ho insultato a voce altissima e mi sono spostata, e quello mi ha pure inseguito per provare a baciarmi e successivamente menarmi, molestando altre donne mentre copriva la distanza, ovviamente.
[Non ce l'ha fatta a baciarmi e nemmeno a menarmi, perché era drogato assai e aveva la mira di una scimmia drogata, ed anche perché io gli ho tirato in faccia una borsa con dentro sette libri — dice, il peso della cultura — e perché un altro passeggero gli ha fatto lo sgambetto, per poi aiutarmi a raccogliere i libri e scappare scendendo dal treno entrambi, col cuore a mille. Grazie, Rami, che fai il cameriere non so dove vicino a piazza Duomo.] A Milano alle nove di sera a trovare mia madre, stavo. Novembre 2022, e essere dove sono nata non mi ha protetta.
Quindi insomma, tanto vale andare a fare un giro, da sola, e scoprire che si dice là fuori, ma pure che si dice dentro di te quando esci dalla routine, e ti prendi spazio di esplorazione, esterna, ed interna.
I mozziconi di sigaretta a cercare di bruciare i tuoi *bellissimi* capelli di sirena sono un'eccezione. Che non dovrebbe esistere, ma un'eccezione.
Lo dico dopo vent'anni e passa di giretti, dal Nordamerica all’Iran.
Molte più cose belle mi sono successe, che cose demmerda.
Di più: le cose demmerda sono state tutte quando ero stanziale. A Milano, a Bangkok, a Barcellona. Essere stanziale mica ti protegge dalle teste di kadzo.
E soprattutto, in casa ci stessero questi tipo quello del mozzicone, e gli amici suoi.
Per me, il viaggio è sempre stato uno strumento di enorme crescita personale, penso che chi mi legge da un po’ ce l’abbia ben chiaro.
E poi, uno dei modi migliori di reclamare un diritto è iniziare a esercitarlo, alla facciazza di chi ti vuole in casa “per il tuo bene”. La linea di demarcazione tra controllo e protezione è sempre molto, molto fine.
Buon ascolto. E se volete venire nel nostro gruppo facciabuco, naturalmente, siete le benvenute. Il gruppo è aperto solo alle donne, non perché vogliamo male agli uomini, ma perché le resistenze, le obiezioni che si incontrano e le paure che si creano all’idea di viaggiare da sole non sono le stesse, cambiano molto a seconda del genere, e nel nostro gruppo più che a farlo a chi ce l’ha più lungo — cosa che capita spesso nei gruppi misti, io ho visitato più posti di te quindi sono più ficooo — più che altro ci si fa pat pat se a 40 anni i genitori pensano ancora di poter opinare su dove vai e cosa fai, se ti dicono non uscire da sola dopo le ore 21 perché poi te la sei cercata, pure dove vivi e tu invece magari vuoi andare che ne so, per i fatti tuoi in Asia o Sudamerica a vedere com’è, se tua madre ti dice pazza scriteriata finirai violentata, e poi in uno spezzatino a casa di un serial killer, amenità rassicuranti così.
Il gruppo è lì un po’ come scambio informazioni, un po’ come incoraggio, un po’ come spazio di terapia di umanità condivisa.
Partite.
La vostra samurai interiore sarà fiera di voi.
Soprattutto, vedrete che è molto più facile di quanto immaginiate.
4. Logistica: LinkedIn, cosette da scaricare, Instagram, il link a Notes, il link all’archivio
Due volte al mese insieme con Catrame non ti bastano? Ci vediamo su LinkedIn… Sono coach certificata ICF di Neurolanguage Coaching®. Quando non sono in fase rivolta luddista ne scrivo, appunto, su LinkedIn. Qui, qui, e qui, potrete leggere meglio di che si tratta e di come funziona.
Sul mio profilo troverai un sacco di roba in archivio che ti sarà di aiuto, ed anche: vai qui, inizia a sviluppare il tuo inglese parlato in autonomia; oppure fai un po’ di self-coaching e vedi se è davvero la lingua inglese a bloccarti, o se è qualcos’altro, sempre nello spirito che conoscere se stessi è cosa buona e giusta, nella vita.
Su Instagram sono @migrabonda. Lo uso poco, quando viaggio quando mi ricordo ci metto le Stories, principalmente per cazzeggio, e per leggere il prossimo. Però oh, se volete, volentieri ci vediamo lì, eh!
Se leggete usando la app di Substack, possiamo seguirci anche sulla sezione Notes, se vogliamo sentirci più spesso, per me è un piacere.
È la prima mail che ricevi? Qui trovi l’archivio di tutte le altre :)
6. Una citazione per voi, quanto per me
“Per me sei sempre vivo, come tutte le cose che consolano”.
— Viola Ardone, Grande Meraviglia
L’ho comprato in Italia, un mese fa, e l’ho letto in tre giorni.
E’ stato anche lui libro-medicina. Incredibile, un po’, come ti capitino in mano i libri giusti al momento giusto, nei momenti di tempesta.
Vi mando un abbraccio grande.
A tra due settimane 🌸
Pao
Che bello leggerti, e anche ascoltarti! Grazie della condivisione. Proprio vero che la vita sono due giorni, un cortometraggio, come diceva Enrico Ghezzi.
Ma la samurai interiore? hai qualche spunto per approfondire? La mia si è resa irreperibile, devo andare a cercarla...
<3
Se questa newsletter la stampiamo e la appiccichiamo in giro per le città?