Definitionsmacht | Chi definisce la tua narrazione?
Sanare per sottrazione, ridefinire narrazioni
(la foto di copertina è di Evie Shaffer.)
Eccoci qui, con il primo numero “normale” di Catrame del 2025, a febbraio inoltrato.
Quando leggerete questo numero, immaginate casa mia così:
la valigia del passaggio di continente aperta, oggetti ovunque, me che giro per casa senza sosta, sveglia presto dalla mattina perché in questo casino parto due giorni dopo il previsto perché due amici che vivono a Bangkok fanno scalo qui in una vertiginosa triangolazione Bangkok-Doha-Barcellona-Cagliari, e volevo troppo esserci: essere quella che ti apre casa sua, ti fa la moka, e ti porta sul tetto a bere il caffè ascoltando i gabbiani e guardando l’azzurro, (col cazzo poiché diluvia) ascoltando come stai.
Sostituendo il çay alla moka, i miei amici turchi hanno fatto lo stesso per anni per me a Istanbul, quando tornavo da Bangkok, facendomi trovare lenzuola pulite e profumate per stendermi un paio d’ore, e tè nero pronto. Per me, arrivare a Istanbul era già essere quasi a casa. E da qualche anno, mi sto esercitando ad essere io quella che accoglie i viandanti, da quando ho una casa senza coinquilini.
E quindi, parto domani invece che ieri.
Intanto, tra mezz’ora esce anche La Terra dei Rosiconi, la prima puntata del Tinello di Perpignan, la nuova rubrica di CatramePod su Spotify, in collaborazione con
di Prove Tecniche di Trasmissione. Una nerd di scienze politiche (io) e una di antropologia culturale (lei) hanno deciso di appropriarsi dello zeitgeist dei bros che fanno l’elicottero col cazz0 coi microfoni facendo vincere i Trump di questo mondo, e parlare anche noi, dalla nostra posizione di femmine Gen X (lei) e Millennial Anzyanah (io), delle cose del mondo.Oggi parliamo dell’invidia, che io credevo che fosse molto italiana (cit), e invece è un problema del bacino mediterraneo e della scarsità di risorse. (Che sentimento incomodo, comunque. Per quello mi colpisce male, quando viene usato come spiegazione per qualunque stracazzo di cosa nel nostro Paese. La metà delle volte chiselincoolah, quellə che si credono o vengono descritti come vittime di invidia e dunque al centro dei nostri pensieri. Davvero, c’è un intrigante egocentrismo di base)
Ma, iniziamo.
Riflessioni e link:
Sottrarre il potere di definizione al nostro passato
I libri del mese: dal Paraguay, dal Libano e attraversando il Sahel
Una cosa dolce, riflessiva e malinconica da guardare
Logistica: vediamoci su The Mindful Speaker, lavoriamo insieme, link ai miei podcast/interviste, social, a Notes, all’archivio
Una citazione, sempre su sta storia della narrazione delle nostre vite
Tempo di lettura: 12 minuti circa, da qui in giù.
Saltare i pezzi o leggere in disordine o a puntate è cosa buona, giusta, e cervello-friendly.
Spezzettate, andate, tornate. Liberamente.
Catrame fa quello che le pare. E voi con lei.
1. Quanto vogliamo essere frutto del nostro passato?
Quando ci sono andata a novembre, il sanare, o cominciare a sanare, la relazione con Vienna mi ha fatto pensare a quanto ci limiti, legare la definizione e il sapore di un luogo a eventi passati, nel bene e nel male.
E lo stesso vale per la definizione di ciò che ci rende noi stesse.
Naturalmente, siamo la somma di ciò che ci è accaduto.
La questione è: dobbiamo per sempre essere questo risultato di quella somma di vissuto ed esperienze?
Possiamo (provare a) dare loro nuovi significati, e dunque avere noi nuove prospettive su cosa, e chi, siamo noi?
Circondata dal tedesco, mi sono ricordata del concetto di Definitionsmacht, il potere di definizione, secondo il quale è chi subisce un comportamento (o un abuso) a poter definire cosa sia quel comportamento, più che l'intenzione di chi lo mette in atto. Mi ricordo che la prima volta che incontrai questa prospettiva mi stupì, diciamo che non ci avevo mai pensato prima, da questo punto di vista.
Ovviamente quello di cui sto parlando oggi è un'altra storia, riguarda principalmente il nostro rapporto con noi stesse... Però è un tema cugino.
Quanto potere di definizione vogliamo dare al nostro passato?
Quanto vogliamo che plasmi il nostro modo di essere?
Faccio un esempio di interazione tra noi e mondo esterno: anni fa mi colpì tantissimo leggere Théorie King Kong di Virginie Despentes, in Italia presso Fandango. In generale è un libro da leggere, provocatorio soprattutto nel senso che provoca riflessioni.
Quella che mi colpì più di tutte può essere riassunta in questa frase, soprattutto nell'ultima parte, dove Despentes parla dello stupro – realtà che conosce in prima persona.
Je suis furieuse contre une société qui m’a éduquée sans jamais m’apprendre à blesser un homme s’il m’écarte les cuisses de force, alors que cette même société m’a inculquée l’idée que c’était un crime dont je ne devais pas me remettre. Traduco: “Sono furiosa con una società che mi ha insegnato a non fare mai del male a un uomo se mi allarga le cosce con la forza, inculcandomi allo stesso tempo l'idea che si tratta di un crimine da cui non dovrei riprendermi.”
La proposta di Despentes non è quella di minimizzare lo stupro o parlarne con leggerezza, perché dice anche:
Toujours coupables de ce qu’on nous fait. Créatures tenues pour responsables du désir qu’elles suscitent. (“Sempre colpevoli di ciò che ci viene fatto. Creature ritenute responsabili del desiderio che suscitano.”)
Citazione che mi ha fatto pensare a Gisèle Pelicot, un'altra donna coraggiosa che ha deciso di prendere in mano il potere di definizione della sua vita dopo eventi inimmaginabili.
Qui ho parlato di atti e situazioni estreme, ma quel che mi interessa è il movimento di ridefinizione che Despentes e Pelicot, e chissà, magari tu che leggi, o io, compiamo ogni volta che mettiamo in questione cosa significa per noi il nostro passato, il nostro vissuto. Anche, in certi casi, traumatico.
Come scegliamo di viverli oggi, con la coscienza che ciò che è stato è stato... Ma, cosa ci hanno lasciato? Come scegliamo cosa tenere, e cosa lasciare? E come significare entrambi?
Possiamo cambiare lo sguardo su cosa ci ha lasciato il passato?
Riscrivere la narrazione?
In quale modo?
Io penso che si possa fare, questo riscrivere la narrazione,
questo risignificare vite, luoghi, ruoli, relazioni.
Non è che lo si deve fare subito. Nemmeno lo si deve fare.
Ma mi piace ricordare a me stessa che è possibile, e ricordarlo anche a voi.
Più vado avanti e più tento di farlo.
E più cresco, e più materiale c'è da risignificare.
La mia relazione con l'ex viennese allegrissimo.
La relazione con Vienna.
Il modo in cui sono stata cresciuta.
Le idee sull'essere ragazza e donna che ho assorbito da ragazzina e poi da giovane donna, in Italia, e poi non più.
Il modello di coppia che ho avuto davanti da piccola.
I rapporti che ho avuto e quelli che ho osservato crescendo, rivisti, riosservati e risignificati attraverso la lente del femminismo.
Niente è scritto nel granito,
E anzi,
Meno granito ho nella mia vita, e meglio sto.
Anche se ho le ginocchia croccanti a volte, anche se mi sta rallentando il metabolismo, anche se a volte c'è della stanchezza per il troppo Weltschmerz, se ci penso bene,
Non tornerei indietro, alla mia gioventù più granitica.
Perché il tempo,
E il distacco dal passato,
La distanza cronologica e geografica,
Rendono quel risignificare molto più possibile.
E il bagaglio molto più leggero.
Tuttə siamo statɜ vittime di qualcosa, nella vita, chi più chi meno:
Quanta leggerezza e quanta spinta verso il futuro può dare, decidere coscientemente che non ci si definirà più secondo il nostro ruolo di vittima (delle circostanze, di un’ingiustizia, di un abuso, di una violenza, di una mancanza, di un eccesso, di un torto) passata?
Quanto potere ci dà, mettere in questione quanto vogliamo rimanere dentro un certo ruolo?
A me piace, l’idea di poter ridefinire le cose, anche anni dopo.
Nei contesti in cui sono riuscita a farlo, a me ha fatto sentire grande come una città, per dirla con i Prozac+.
Auguro che lo stesso possa accadere a voi.
Che definizione di voi stessɜ vorreste riprendere in mano, ridefinire, riplasmare, risignificare?

Manifesto
Due volte al mese, il mio obiettivo è aiutarvi ad aumentare la diversità culturale presente nelle vostre vite.
È un modo diverso e gioioso di fare politica.
Se il diverso lo ascolti, lo conosci, lo leggi, tenti di capirlo, da una posizione di apertura e curiosità, apprendendo dai e dei modi altrui di stare al mondo, è più difficile essere chiusi e bigotti. E non per forza questa apertura la si deve cercare attraverso il viaggio, che non è alla portata di tutti.
La cultura può permettere di aprirsi anche a chi non può o non vuole muoversi.
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2. I libri del mese
Selvaggia Aspra e Forte, Laura Pariani, La Nave di Teseo. Il mio biglietto per il Chaco paraguayo, a farmi sentire caldo in pieno dicembre. Che dire. Laura Pariani ha ripreso il formato che avevo già amato in Quando Dio Ballava Il Tango, cioè un mosaico di narrazioni e prospettive che si incrociano, questa volta guidate dal filo conduttore della vita di un pittore ottocentesco che, dalle montagne del nord Italia, finisce a vivere nella giungla del Paraguay, insieme agli indigeni, che rispetta, e da cui impara cose, invece che disprezzarli come selvaggi. Guido uno di noi. Se fosse nato negli anni 80, sarebbe stato al G8 di Genova con Manu Chao nel suo Walkman. Intorno a lui, una moltitudine di personaggi, maschili e femminili, nativi americani, europei di varie latitudini, con diversi livelli di razzismo, sicumera, curiosità, leggerezza, sensibilità. Molto bello. Così bello che sono andata online a scovare ancora un altro romanzo di questa scritttrice, ormai fuori catalogo. Vi farò sapere se anche questo merita come gli altri che ho letto.
Sabra Zoo di Mischa Hiller, tradotto come Fuga dall’Inferno da Newton Compton. Letto millemila anni fa, in realtà sarebbe archivio pure questo, me lo sono ricordata in quest’ultimo anno con tutto quello che stava accadendo a Gaza. In questo caso, siamo a Beirut nel 1982, e seguiamo la storia di Ivan, i cui genitori sono stati evacuati in quanto dirigenti dell’OLP. Ivan, invece, sceglie di rimanere, innamorandosi di una cooperante norvegese e affezionandosi a un bambino rimasto orfano in giro per il quartiere. Quando l’esercito israeliano arriva e circonda il campo prima del famoso massacro di Sabra e Shatila, le due persone a cui Ivan vuole bene sono dentro il campo, e non vi dico altro. Mischa Hiller è anche sceneggiatore, e ha vinto un premio per il suo adattamento per il cinema del suo stesso romanzo nel 2009.
Il consiglio di archivio: The Lost Kingdoms of Africa di Jeffrey Tayler, tradotto come Vento di Rabbia da Neri Pozza. Non consiglio spesso narrativa di viaggio, ma questo l’ho trovato per puro caso in una polverosa libreria della Cambogia e mi ricordo ancora la potenza della narrazione, che mi ha portato dalla caldazza secca e bollente della Cambogia in stagione arida alla caldazza del Sahel, che non è proprio una regione del mondo su cui abbondino le narrazioni, ragione per cui ve lo passo. Il libro è del 2005 e non so nemmeno se sarebbe possibile replicare un viaggio del genere, tra rapimenti di stranieri e non, rotte di migranti con relativi passeur che credo non avrei mai voglia di incontrare, e chi più ne ha più ne metta. Mi ricordo solo che mi era piaciuto, anche se a tratti volevo sedermi con l’autore e fargli un pippone su come essere meno arrogante con le persone (un po’ come col tizio che aveva scritto Autostop con Buddha, che vi avevo consigliato qualche numero fa con un disclaimer simile. Succede spesso con i libri di archivio, perché essendo tali, beh, a volte cambia/evolve anche la lente con cui li leggiamo e valutiamo.)
3. Un film meraviglioso che dovete vedere
Crossing, di Levan Akin, regista svedese-georgiano. Lia è un’insegnante in pensione, che decide di partire dalla Georgia alla volta di Istanbul, alla ricerca della sua nipote trans, rifiutata dalla famiglia per la sua identità. Lia vuole partire, appunto, per riscrivere la narrazione del rapporto con sua nipote. Per questo me ne sono ricordata.
Un po’ road movie, dato che la signora parte con il vicino di casa giovane e sgangherato a farle “da interprete”, un po’ esplorazione di una Istanbul marginale che non c’entra niente con quella patinata delle guide turistiche e delle telenovelas turche, a me (e a Martín che era con me) è piaciuto tantissimo. Colonna sonora meravigliosa, oltretutto.
Akin anni fa aveva fatto un altro film a tema amore e identità e orientamenti LGBTQI, And then we danced, ambientato interamente in Georgia. Anche quello davvero bello. Insomma, questo regista è da tenere d’occhio e da conoscere, se non ne avete mai sentito parlare.
Vi lascio un’intervista con lui in spagnolo. In italiano sto trovando pochino da farvi leggere al riguardo, quindi, dovrete fare esercizio o andare di traduttore :)
4. Logistica: la mia nuova newsletter in inglese, lavorare insieme, sono su Spotify, link ai miei podcast/interviste, a Instagram e LinkedIn, a Notes, all’archivio
Iscrivetevi alla mia newsletter in inglese, che è già una pratica di lettura di suo. Quando non scrivo qui, infatti, pratico il mio lavoro di coach certificata di inglese. Su The Mindful Speaker, parlo di quello che faccio fuori da Catrame: apprendimento linguistico, consigli di ascolto e lettura. In ogni numero, prompt per parlare e scrivere, per iniziare a prendere controllo del vostro sviluppo linguistico e interculturale, gratis, in autogestione. Ci vediamo lì?
Questa settimana ho avuto la prima chiamata del Joy Luck Café, il mio spazio di gruppo dove parlare inglese con persone pucci, live due volte al mese e su Telegram il resto del tempo. Se vuoi unirti, o anche solo leggere come funge, dai un’occhiata qui (e sì, il sito è in inglese perché non ci sono solo persone italiane!) :) Sto costruendo la cosa con voi, quindi insomma, sarò la prima a dare l’esempio: facendo cappellate si impara, e questo non dice nulla della tua competenza. Dice che stai imparando. Oh yes. Chi non fa non sbaglia, eccetera.
Preferite ascoltare Catrame? Avoja se capisco, come sapete sono una mangiapodcast totale. A grande richiesta, sono anche su Spotify, con ordine di cotenuti diverso da quello di qui, così non ci si annoia. Mai.
Su Instagram sono @migrabonda. Temi come qua, ma più stupidini.
Usate LinkedIn? Qui, qui, e qui parl(av)o di come funziona il mio lavoro. Ci sto molto meno che prima, i social e la loro nebbia mentale hanno stufato. Sto usando il tempo guadagnato da lì per lavorare su Mindful Speaker e CatramePod.
Se vuoi ascoltare i miei podcast e interviste su lingue e viaggio in inglese, francese e italiano, i link sono qui.
Se usi la app di Substack, possiamo seguirci anche su Notes: io ci sono a volte un sacco, a volte zero.
Qui l’archivio di Catrame :)
5. Quel che è accaduto non deve continuare ad essere
Davvero, questo tema della definizione della narrativa della propria vita è, a mio avviso, di vitale importanza. Non se ne parla mai abbastanza.
Quante volte la nostra stessa resistenza al cambiamento, il dire “si è sempre fatto così”, “sono abituata così”, ci mantiene bloccate in logiche che non fanno il nostro bene?
The life you have led doesn’t need to be the only life you have.
La vita che hai condotto finora non dev’esssere l’unica che avrai.

E anche per sto giro, abbiamo finito.
Domani mattina presto — se trovo posto in aereo, vita da volo standby — parto per Buenos Aires, e non so bene quando tornerò, però credo fine marzo o inizio aprile, al massimo.
Catrame lo scriverò anche da lì, dalla mia stanza preferita con il finestrone di vetro che dà sul pergolato, il gatto Gonzalo a farmi compagnia e senza poncho addosso, perché sarà l’equivalente di quasi ferragosto, quando arriverò. Quindi, dato che c’è clima temperato, di nuovo sull’orlo della quinta stagione, quella che noi non vediamo, ma che secondo la medicina cinese c’è eccome.
Un pacco di pasta italiana costa 8€. Un pacco di caffè locale circa 7€. La mia valigia è per metà vestiti, e per l’altra metà cibo, per la mia permanenza nella sfavillante Argentina di Javier Milei (non so se sentite l’ironia con cui dico questo mentre rabbrividisco.)
Mi aspettano tredici ore e qualcosa di volo. L’anno scorso, andando e venendo dall’Asia, mi erano venute un sacco di idee, nei voli di notte. Questo sarà un volo di giorno. Vediamo come reagirà l’Omino del Cervello a una giornata che inizia alle sei del mattino e non finisce giammai, hehe.
Vi mando un abbraccio grande. A tra due settimane.
Come sempre, grazie di esserci 🧿
Pao
Racconterai qualcosa di quello che vedi a Buenos Aires e della situazione in generale? Spero tu abbia fatto un buon viaggio, un abrazote! ❤️
Felicissima di vedere che entrambi i film di Akin sono su Filmin: messi subito in lista! Buon viaggio e buona permanenza argentina, intanto 🫂