Ben ritrovati, compas.
Come state?
Questo mese meno punti ma più ciccia:
Bangkok. Quella quotidiana. Quella mia. Casa.
4 saggi per l’8 marzo e un romanzo allucinogeno
Un consiglio di archivio da Nairobi (e non solo)
La storia di noi due (cioè di me e di te)
Il sommario serve a farvi saltare meglio le parti che non vi interessano. Io lo faccio con i pezzi lunghi.
1. La città orizzontale
Ho cercato una citazione su Bangkok per il titolo di questo mese.
Facevano tutte cagare.
O mi parlavano della cucina di strada, o mi parlavano della Bangkok sordida del malaffare, delle prostitute, delle mafie.
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Se chiedi agli occidentali, Bangkok va bene solo come sfondo delle avventure del detective X, occidentale, alcolizzato e un po’ puttaniere, brutto e zozzo, ma irresistibile per le giovani donne locali fregnissime, esili e innocenti.
State già dormendo? Perché io sì.
Madonna che noia, che riduzione della città a due sole dimensioni, una città che di dimensioni ne ha decine.
Io Bangkok la amo, specie come visitatrice — viverci è più complesso.
Ci sono stata dieci giorni a febbraio.
Sono stata nel mio vecchio edificio, che per me è uno dei posti più calmanti della vita, la pace nel cemento, su soli tre piani, e la casa più grande e bella in cui abbia vissuto in vita mia.
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A Bangkok sono stata crisalide, per quasi tutti i miei quattro anni di vita lì.
E’ una città dove sono stata malissimo, e che mi ha fatto benissimo. Insieme.
È stato così forte per me, tornare, dopo la pandemia e mille accadimenti, e trovare la mia vecchia casa (la vecchia me), il mio posto sicuro, i miei vicini, nel mezzo del quartiere che cambia.
E infatti mi sono messa a piangere nel BTS la prima sera che siamo usciti, dicendo, io non sto mica piangendo.
E’ una città che certo, è fatta di grattacieli, zone a luci rosse, zone per turisti scemi e intossicati… Però, per me, la sua anima è nelle parti basse, nella shitamachi, la città orizzontale, diremmo, se stessimo parlando di Tokyo.
Nei vicoli, i soi, come si chiamano a Bangkok.
Nelle signore che fanno la papaya salad. Nelle mani delle signore che preparano le ghirlande di fiori di gelsomino, da offrire agli spiriti e agli antenati. Nei signori coi gilet arancione che guidano i motosai, i mototaxi, che guardano la gente passare dalle loro fermate, dalle amache legate ai pali della luce, o in bilico, sonnecchiando su un motorino, la testa e le spalle sul manubrio, il sedere sul sellino, la schiena in sospeso. La vita quotidiana che mi fa sentire a casa è quella di chi lavora per strada, e fa il sarto con la macchina Singer dalle decorazioni dorate e il pedale come quello di mia nonna; o il ciabattino, o vende polpette, dolcetti, salsicce, spiedini, fiori, frutta, caffè, spugne naturali, giocattolini, portachiavi, quello che può. Senza di loro, la città sarebbe vuota.
Quando abitavo a Bangkok, arrivavo a Milano e l’omino del cervello diceva: ma dove sono tutti?
Queste persone non ci sono solo nei quartieri meno abbienti o nella shitamachi.
Ci sono anche nelle zone ricche dei grattacieli — e non vengono snobbate, queste persone. I soi della città ricca sono ancora più tranquilli; meno venditori, ma sempre popolati dalle fermate dei motosai, che tutti usano.
Bangkok è una città polimorfica, è difficile da raccontare — è una metropoli, ma riesce a non essere frenetica, perché non è nella natura dei thai esserlo.
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È una città che ha dentro tante altre città e un sacco di comunità straniere: tantissimi giapponesi, indiani del nord e del sud, cinesi, chi più ne ha più ne metta. Ci sono tantissimi templi di non so quante religioni. Una chiesa portoghese. Un tempio indù. Mille templi e shrine cinesi e thai, buddhisti ma non tutti uguali.
I grattacieli di Asoke;
le izakaya e i karaoke giapponesi di vario ordine e grado dove trovi i businessmen sfatti alla notte, che bevono shōchū e guardano gli altri cantare;
i centri massaggi da pochi baht, caotici, dove fai il foot massage chiacchierando con le amiche, quelli chic, silenziosi e ovattati, le onsen giapponesi strafighe dove trovi giapponesi, occidentali e thai ricchi;
Silom che era moderna negli anni 80 e si vede nell'architettura rimasta da quell'epoca. Sukhumvit che fa da spina dorsale della città degli stranieri.
Patpong a luci rosse per i polli bianchi da spennare; Thong Lor coi bar fighetti e le degustazioni di whiskey; Nana e il suo accrocchio di comunità indiana e comunità arabe di varie provenienze, dove può succedere che sei l'unica senza niqab in un ristorante; Khaosan Road per i backpacker che vogliono i tuktuk; Ari, Samsen Road, Charoenkrung e Talad Noi coi suoi bar da hipster dove ci mettono sei ore a farti un caffè. Il caffè freddo thailandese comprato da un carretto, cosa di pochi secondi, e di una badilata di zucchero.
Il fiume, i canali, l'acqua, lo SkyTrain, l’MRT, i motosai e gli ingorghi dei taxi, pure loro fluviali, a unire il tutto.
Se leggi via mail e mi rispondi, te ne sarò grata perché così non sembrerò una che parla da sola al parco.
Se leggi sulla app, il mio cuore e la mia motivazione faranno un balzello se mi lascerai un cuoricino o un commento.
Molte persone vanno in vacanza in Thailandia e saltano a pie pari Bangkok.
Benissimo, se volete restare nella Thailandia da cartolina con le palmette, i massaggi, i templi e i thai che sorridonosempre.
Se invece volete immergervi nel gorgo e imparare qualcosa, a Bangkok, vi ci dovete fermare.
Perché è il centro politico ed economico del paese, è dove le cose accadono, è lì che vai, se vuoi fare accadere qualcosa.
A Martín avevo detto che Bangkok è più un tipo, più che essere bella. Lui dice, invece, che no: è proprio bella.
Nel prossimo numero vi faccio un acquerello di Chiang Mai, se no oggi vado lunga.
2. Consigli (saggi!) del mese e una lettura recente
Siccome è quasi l’8 marzo, e io sono in una fetta di mondo che se lo caga poco o niente, e che pure il femminismo lo caga poco e niente, faccio qua con voi: vi metto un po’ di libri da regalare alle amiche, e agli amici.
Che questi temi ci riguardano tutte, e tutti.
Streghe e Réinventer l’Amour, Comment le patriarcat sabote les relations hétérosexuelles (il link è in italiano) sono due libri di Mona Chollet, giornalista svizzera francese, che io credo sarebbe una grande compare di birrette. Il primo è pubblicato in italiano da UTET, il secondo in italiano non c’è, ma lo trovate in inglese e in spagnolo. I due titoli rendono ovvi i temi trattati. Io li ho letti entrambi con interesse. Il secondo, ovviamente mi ha interpellato di più.
è un libro e un Substack della giornalista britannica Caroline Criado Perez. Che poi secondo me è cugina di . Si parla di gap di genere e dati, e quando la leggerete, spesso vorrete dare fuoco ai cassonetti per quanto è chiaro come il sole che se nasci femmina per un sacco di cose conti meno: la medicina, la sicurezza stradale, mille altre cose. Con buona pace degli incel. Seguitela nelle note di Substack, ascoltate il podcast, arrabbiatevi, la rabbia è carburante.Ginecologia Naturale ve lo mostro grazie a Pabla Pérez San Martín: antropologa, ostetrica e levatrice femminista cilena del progetto argento-cileno Ginecosofia. Cliccate sul link e vedrete il pdf. Si parla di nuovo di corpi delle donne, del controllo dei loro corpi da parte della società, del nostro rapporto con noi stesse, col ciclo mestruale, col sangue. Col piacere.
L'autogestione non riguarda solo la guarigione di una malattia, ma anche il piacere. Noi donne ci portiamo dietro troppi dolori e sensi di colpa e ora sta a noi curarci, ma anche divertirci. Ci sono discorsi molto punitivi, anche nelle terapie alternative, in cui le donne devono guarire il loro lignaggio femminile, le donne sono colpevoli del machismo. Certo, dobbiamo guarire, ma dobbiamo anche divertirci. Quando cominciamo a riscoprire la nostra sessualità, è un'altra cosa. La medicina insegna così. La sessualità femminile sembra essere associata alle malattie veneree o alla riproduzione. Dov'è il piacere?
— Pabla Pérez San Martín
Romanzo del mese: Costruisci La Tua casa Intorno Al Mio Corpo, Violet Kupersmith, dei miei coccoli di NN Editore. (Build your house around my body) Da dove iniziare con un libro che ha più o meno lo stesso effetto di una pasticca di acido? L’ho assolutamente adorato, rega’. E anche qui, il corpo importa.
Descrive perfettamente la vita lost in translation di una ragazza straniera, sola coi suoi demoni in una grande città del sudest asiatico. Ovviamente a me ha parlato per la mia storia personale, ma è veramente un viaggio, anche e soprattutto per chi il Vietnam non lo ha mai visto.
Se mai andrete nella Thailandia meridionale, in Malaysia o in alcune parti del Vietnam, vedrete le piantagioni di alberi della gomma. E dopo questo libro, non le rivedrete mai più con gli stessi occhi.
Parte lento. E poi da metà libro circa, diventa una corsa sfrenata: e non vedrete nemmeno i cani, le nonne, i topolini, i poliziotti e i serpenti come prima.
Catrame è un piacere da scrivere, ma prende anche tempo, soprattutto ora che sto di nuovo lavorando in contesti improbabili. A sto giro, mi dice il Pomodoro — lo uso per non perdermi via e sapere come uso il mio tempo — che ci ho messo quasi quattro ore a scrivere, cercare link, revisionare, lottare con internet scarsi che mi hanno perso i pezzi, riscrivere: se Catrame ti dà materiale di riflessione e immaginazione, e vuoi lasciarmi una donazione libera, te ne ringrazio. Non c’è un minimo, faccio pay what you want come il mio ristorante pakistano preferito ai tempi di Vienna, che ha questa politica da decenni, e tiene botta.
Alice C. e Marta C.: grazie del vostro sostegno il mese scorso, che emozione <3
3. Consiglio di archivio da Nairobi e Londra
Io raga, sto scrivendo qua a Chiang Mai e però ho un po’ di febbre.
Niente di grave, ma abbastanza da avere il cotone in testa e il petto surriscaldato. Quindi, per questo mese il consiglio di archivio, super mega avvincente con di mezzo Big Pharma, l’Africa orientale, le spie, gli hacker e i diplomatici inglesi, ve lo metto come link.
Dal mio amatissimo e compianto John Le Carré. Ho una passione insana per le storie di spie, raga, io ve lo dico. Occhio che siccome mica era scemo, John, la storia l’ha scritta ispirandosi a questa storiaccia accaduta in Nigeria nel 1996. Mai sentita? Nemmeno io, fino a che avevo letto il libro, da studente.
4. Facciamo qualcosa insieme? 🔥
Se a te, o a qualcuno che conosci, può servire un po’ di Neurolanguage Coaching® per usare finalmente bene l’inglese efficacemente, per davvero e senza sbatti, in un luogo sicuro dove non ti stressano se parli italiano, ad esempio, io sto già organizzando i posti per chi inizia a fine Aprile. Tête-à-tête, tu ed io, lavorando a quel che ri serve davvero. Sarai tu a decidere tutto, col mio aiuto. Parliamo?
Scrivetemi se avete domande, ovviamente, rispondendo qui o scrivendo a paola(@)flowingenglish.com. E… Parlatene a chi pensate possa essere interessato — gli amici di chi legge Catrame sono sicuramente persone interessanti. Almeno finora così è stato.
Non ti basta sentirci due volte al mese? Che bello! Troviamoci su LinkedIn. Lì scrivo (in inglese) un sacco di roba su come funziona il Neurolanguage Coaching, e perché quello che faccio è diverso da un corso d’inglese. C’entra molto poco, e ti dà tantissimo potere perché non c’è una maestrina a dirti fai questo e fai quello. Cosa fai e con che tempi, lo decidi tu, non io.
È la prima mail che ricevi? Qui trovi l’archivio di tutte le altre :)
Vi mando un abbraccio.
Il prossimo numero sarà Catrame Extra, l'Inserto Infodemico di articoli e podcast, a un certo punto di marzo.
Dipende un po’ da come butta in Vietnam. Sono appena arrivata a Hanoi.
Grazie di leggermi 🇻🇳
Un saluto da Hanoi.
Che brividi la tua descrizione di Bangkok, mi hai fatta sentire di nuovo lì a guardare la città passarmi davanti da un motosai in un canale <3 Era stata la mia prima (e ultima, e intensissima) tappa del mio viaggio di tre mesi da sola in Sudest asiatico ormai quasi otto anni fa (è proprio ora di tornarci)
Paola, I don't understand most of this since it's not in english. But the pictures are so stunning, they really sort of speak for itself. Thanks for posting them. When did you visit Bangkok?